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America Latina, Competizione tra modelli di Chiesa

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Intervista a Benedito Ferraro

Benedito Ferraro, presbitero della diocesi di Campinas (Brasile), è teologo della liberazione, consulente delle Comunità ecclesiali di base (Ceb) brasiliane e membro del loro coordinamento continentale.

Qual è la situazione della Chiesa cattolica brasiliana dopo le polemiche scoppiate nell’ultima campagna elettorale tra vescovi pro e contro Dilma Rousseff?

In generale la Chiesa continua ad avere molta credibilità tra la gente. Tuttavia il settore legato al movimento carismatico alimenta la tendenza a interpretare le malattie, le catastrofi naturali, ecc., a partire dall’influenza del diavolo e quindi la ricerca di soluzioni attraverso la preghiera o riti di guarigione, a scapito della crescita della coscienza civile. Quest’ala conservatrice, che cerca di mettere alla guida delle diocesi metropolitane membri dell’Opus Dei, dei neocatecumenali o degli Araldi del Vangelo, ha puntato tutto sui temi dell’aborto e del “matrimonio” tra persone dello stesso sesso. Molto forte resta poi il cattolicesimo tradizionale, che si concentra sulla distribuzione dei sacramenti.

Infine la componente ecclesiale che ruota attorno alle Ceb in alcuni luoghi si è indebolita, in altri si sta rafforzando collegandosi alle lotte sociali, e a volte, come nel Nordest, con una pietà popolare che ha elementi liberatori molto profondi nella linea della solidarietà, della condivisione, e nei momenti di maggiore tensione assume posizioni progressiste. Questo è accaduto nelle ultime elezioni: nel Nordest, dove il governo uscente aveva investito molto (e non solo con la Borsa-famiglia), c’è stata una crescita di autostima e autonomia della popolazione, che si è tradotta in un voto a favore di Rousseff tra il 70 e l’84%.

La Chiesa non può allontanarsi da questa prospettiva popolare che si collega con la ricerca di migliori condizioni di vita, nonostante qualcuno continui a legittimare le disuguaglianze di classe.

Nella Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), un quarto dei membri ha un orientamento progressista, un 15% è chiaramente conservatore e il resto appoggia la posizione che di volta in volta gli appare più convincente, per cui conta molto la capacità dei primi due gruppi di coordinarsi. Comunque nel 2010 la Cnbb ha sostenuto il referendum autogestito sul limite della proprietà della terra, a favore del quale si erano schierati tre quarti dei vescovi, dal che si deduce che la maggioranza dell’episcopato è ancora a favore della riforma agraria. E l’85% ha appoggiato il messaggio della Cnbb alle Ceb, il che mostra che c’è uno spazio per pensare un altro modello ecclesiale a partire dalla realtà del popolo. I laici sono divisi, come pure il clero. Così, i documenti del XIII Incontro nazionale dei presbiteri del Brasile esprimono una crescente consapevolezza dei problemi sociali, ma nelle parrocchie si assiste a una ripresa di autoritarismo, clericalismo e centralismo, che spesso blocca il cammino delle Ceb. C’è una competizione tra modelli di Chiesa. Inoltre il documento di Aparecida, nonostante il tentativo di modificare il testo approvato, aiuta a rilanciare le Ceb e la Teologia della liberazione, soprattutto l’opzione per i poveri che secondo Benedetto XVI è implicita nella fede cristologica.

Naturalmente questo processo contiene contraddizioni, ma la maggioranza dei vescovi continua a desiderare una Chiesa impegnata a fianco del popolo.

La cristologia elaborata in America latina ha fatto molto discutere, per esempio in occasione della Notificazione della Congregazione per la dottrina della fede nei confronti di Jon Sobrino e dell’accusa di Clodovis Boff alla Teologia della liberazione si aver messo il povero al posto di Cristo. Come vede questa riflessione cristologica?

La Notificazione è stata un tentativo di condizionare la Conferenza di Aparecida, perché sul piano strettamente cristologico tutti i testi di Sobrino sono stati esaminati da diversi teologi di fama internazionale e l’unico ad aver posto un problema è stato Bernard Sesboüé, il quale si è chiesto in che modo l’umanità dialoga con la divinità in Gesù di Nazaret, un problema che noi teologi stiamo cercando di comprendere. Sobrino è un teologo serio, oltre che un martire vivente, per cui questa è stata un’aggressione, contro cui si sono espressi teologi di tutto il mondo. Inoltre Sobrino si basa sulla cristologia latinoamericana e sulla ricerca esegetica europea e nordamericana, che recupera il Gesù storico.

Questo va ancora molto approfondito, per esempio chiedendoci non solo perché Gesù muore, come fa Sobrino, ma anche chi l’ha ucciso, cioè serve una riflessione sui conflitti nella nostra società. Io credo che la cristologia latinoamericana legata alla Teologia della liberazione abbia un serio fondamento esegetico per cui dobbiamo andare avanti in questa direzione. La critica di Clodovis Boff credo sia legata all’amarezza per l’abbandono del sacerdozio da parte del fratello Leonardo; da allora egli ha iniziato a prendere le distanze dalle Ceb e dalle lotte popolari. Nei libri di cristologia latinoamericana non si trova l’affermazione che Boff contesta. Inoltre l’identificazione di Gesù coi poveri è molto presente nel NT, prima di tutto in Mt 25,31-46, ma già nell’AT, dove per Geremia conoscere Dio è liberare il povero, e secondo i Proverbi offendere i poveri è offendere Dio;

la cristologia latinoamericana ha trovato una forma per affermare che a partire dai poveri dobbiamo modificare tanto la società quanto la Chiesa.

Quali sono la situazione e le sfide delle Ceb in Brasile?

Le Ceb sono presenti nelle Chiese particolari, influenzano la linea delle Conferenze episcopali regionali e partecipano alle lotte sociali. Aparecida è importante perché recupera l’espressione di Medellín per cui esse sono “cellule iniziali di strutturazione ecclesiale”, restituendo loro una legittimità nell’esperienza ecclesiale latinoamericana. Agli incontri Interecclesiali sono presenti la maggioranza delle diocesi e molti vescovi (60 all’ultimo). Certo negli ultimi anni le Ceb sono cambiate e affrontano grandi sfide: per esempio, quella di inserirsi nella “nuova classe media” nata con l’uscita dalla povertà di 28 milioni di brasiliani (e altri 30 hanno superato la miseria), senza dimenticare però che in Brasile ancora 46 milioni di persone sono considerate povere e 10 milioni indigenti; oppure quella di radicarsi nelle città (e qui c’è anche il problema del rapporto coi giovani), dove risiede l’84% della popolazione, ma al contempo consolidarsi nelle campagne, dove vivono ancora 32 milioni di persone.

Un’altra sfida è il dialogo ecumenico con le Chiese pentecostali, soprattutto le Assemblee di Dio, che negli anni scorsi hanno occupato il vuoto lasciato nelle periferie dalla diminuzione delle Ceb seguita agli attacchi alla Tdl e alla loro parrocchializzazione; siccome in comune coi pentecostali abbiamo la Bibbia, la scommessa sta nel riuscire a farne una lettura popolare che possa coinvolgerli in una prospettiva di liberazione.

E nel continente?

In America latina puntiamo, da una parte, a rafforzare il collegamento continentale tra le Ceb, e, dall’altra, al loro rilancio o consolidamento nei singoli paesi. Sul primo versante, le rete è ormai presente quasi in tutti gli Stati, sul secondo ci sono risultati significativi soprattutto in Paraguay, Bolivia, Ecuador, Repubblica dominicana, El Salvador, mentre a Panama le Ceb sostengono la lotta del popolo Naso contro l’espropriazione delle terre. D’altro canto senza le Ceb non si capirebbero l’elezione presidenziale di Fernando Lugo in Paraguay, Rafael Correa in Ecuador e dello stesso Lula, nè il processo di cambiamento in corso in Bolivia. In America latina la sfida principale per le Ceb sta, secondo me, nel dialogare con le religioni dei popoli indigeni, che sono i nuovi protagonisti della scena continentale e chiedono una nuova posizione della Chiesa nei loro confronti.

Il Brasile ha un’importante storia ecumenica tra Chiesa cattolica e Chiese protestanti, però c’è un’esplosione di Chiese pentecostali che in maggioranza non sono ecumeniche e, come in tutto il mondo, si assiste a un ripiegamento delle Chiese sulla propria identità confessionale. Quali sono le prospettive in questo ambito?

L’ecumenismo nasce dalla base, dalla difesa della vita, della natura, dei diritti umani. Questo ecumenismo della prassi non invalida, però, quello fatto di incontri bilaterali per comprendere le formulazioni teologiche, che sono diverse, ma puntano nella stessa direzione: comprendere che cosa è la fede perché la vita sia giusta. In questo senso vedo l’importanza del Consiglio nazionale delle Chiese cristiane (Conic), del suo impegno a raggiungere accordi, su base esegetica e teologica, affinché le Chiese possano camminare insieme. In Brasile si sono svolte già tre Campagne della fraternità ecumenica e ora credo che, a partire dalla riflessione sull’ecclesiologia, dobbiamo creare un minimo di istituzionalità per camminare meglio insieme.

Qualche anno fa la Chiesa metodista ha deciso di uscire dagli organismi ecumenici e ricentrarsi sulla propria identità confessionale, nella convinzione che a un grande lavoro sociale e teologico non corrispondesse un adeguato aumento dei propri membri, secondo una visione un po’ proselitista. Molti pastori, però, continuano a lavorare con le altre Chiese, compresa quella cattolica; credo che un giorno torneranno nel Conic. La maggiore difficoltà riguarda le Chiese pentecostali e neopentecostali.

Con loro sia la Chiesa cattolica sia quelle protestanti devono perseguire relazioni meno conflittuali e trovare terreni di lavoro comune.

Dovremmo capire meglio che cosa spinge soprattutto i poveri a entrare in queste Chiese e quali sono le loro potenzialità. Questo fenomeno è legato anche al rinascere dei fondamentalismi, che offrono punti fermi di cui le persone sentono grande bisogno di fronte a una società che produce anomia generalizzata; lo si vede anche nella Chiesa cattolica, nei diversi movimenti che molte volte sono fondamentalisti.

Il problema, allora, è: come organizzare la pluralità, la diversità dentro un’unità minima, una koinonia, che potrebbe aiutare ad affrontare questa anomia?



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