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ABITARE LA TRANSIZIONE SULLE ORME DI PAPA GIOVANNI XXIII

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Sessant’anni or sono – per la precisione il 28 ottobre 1958 – il bergamasco Angelo Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia, veniva eletto vescovo di Roma e prendeva il nome di Giovanni XXIII. Nel ricordo di questo anniversario, la Chiesa di Bergamo ha organizzato tra la fine di maggio e i primi giorni di giugno di quest’anno la Peregrinatio Giovanni XXIII, che ha visto la presenza dell’urna, contenente le spoglie mortali del papa canonizzato il 27 aprile 2014, dapprima a Bergamo e poi nel paese natale del santo, Sotto il Monte Giovanni XXIII. Ai vescovi che nel pomeriggio di domenica 3 giugno – nel cinquantacinquesimo anniversario della morte di san Giovanni XXIII – hanno partecipato all’Eucaristia presieduta dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini, il vescovo di Bergamo Francesco Beschi ha fatto omaggio di una edizione speciale dell’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia, il celebre discorso che papa Giovanni pronunciò l’11 ottobre 1962, inaugurando il Concilio Vaticano II. È una bella pubblicazione, che riproduce anche gli appunti manoscritti di quel testo, al quale il papa lavorò molto attentamente per mesi, e riporta la versione italiana che l’allora arcivescovo di Milano, Montini – il futuro papa Paolo VI – commissionò al teologo milanese Luigi Serenthà e fece diffondere nella sua diocesi alla fine del 1962.

Rileggere oggi questo testo è insieme corroborante e sorprendente: e permette anche di vedere quante e quali strade abbia aperto, quello che doveva essere un “papa di transizione”. Lo fu, certo: ma, probabilmente, non nel modo in cui si intendeva all’epoca questa espressione.

La prima parola del discorso di apertura del Concilio rimanda alla gioia: Gaudet! La Chiesa gioisce, si rallegra: e viene da pensare subito agli insistenti richiami alla gioia di papa Francesco, al gaudium del Vangelo, alla laetitia amoris, al gaudete ed exsultate delle Beatitudini... Papa Giovanni ha avviato una transizione verso la gioia, e lo ha fatto non sulla base di un ottimismo superficiale – perché il papa sa, e lo dice, che “i gravissimi problemi, di cui il genere umano deve trovare la soluzione, dopo quasi venti secoli non mutano”. Eppure – chi non ricorda queste espressioni? – egli non se la sente di associarsi ai “profeti di sventure che vanno pronosticando eventi sempre più infausti, come se incombesse la fine del mondo”. Soprattutto, il papa raccoglie come positivo il fatto che le circostanze attuali favoriscono la libertà della Chiesa: essa è oggi “libera di gridare… tutta la sua voce, piena di maestà e di gravità”.

È libera di gridare il primato del regno di Dio sopra ogni cosa; è libera nel custodire il tesoro che le è stato affidato dal Signore, ma senza cadere in “una specie di fanatismo per l’antichità”; al tempo stesso, è chiamata a “aprire un dialogo con i tempi moderni, il nuovo stato di cose, le nuove forme di vita, i nuovi orizzonti dischiusi all’apostolato cattolico”.

È libera, ma non per limitarsi a “discutere di questo o di quel tema fondamentale della dottrina ecclesiastica o [a] ripetere in maniera più diffusa l’insegnamento… dei padri e teologi antichi e recenti”. Ciò che occorre, è che “questa dottrina certa e immutabile, a cui va l’omaggio della nostra fede, venga approfondita e proposta secondo i criteri e le esigenze del nostro tempo”, facendo particolare attenzione, e molto lavorando, sul “modo” in cui le verità della fede vengono formulate e affidandosi alla “medicina della misericordia”, piuttosto che alle armi della severità. Giovanni XXIII guarda fiducioso anche al fatto che gli uomini incominciano a condannare da se stessi quelle concezioni che sono in aperto contrasto con “i retti principi dell’onestà e fonte di esiziali conseguenze”: ad esempio “l’eccessiva fiducia concessa al progresso tecnico, un’idea di benessere che si fonda unicamente alle agiatezze della vita…”; o cominciano a riconoscere “l’assoluta insufficienza della forza bruta, delle armi, dell’oppressione politica per una felice soluzione dei problemi che li tormentano”.

Troppo ottimismo, anche in questo caso? Penso che san Giovanni XXIII si troverebbe qui in accordo con la fiducia che papa Francesco pone nel “santo popolo fedele di Dio unto con la grazia dello Spirito Santo” (cfr. ad es. Evangelii gaudium 119). Papa di transizione: verso la gioia, la libertà, la misericordia, la fiducia, l’abbandono alla forza trasformatrice del Vangelo e all’azione dello Spirito… È una transizione ancora in corso, e comporta le sue fatiche, ma è bello abitarla e ringraziare Dio per il papa che l’ha avviata.



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