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1997: ANNO DEL BANDO TOTALE DELLE MINE

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Bando totale delle mine: una prova del nove per il “villaggio globale”.  L’impegno continua.

La lunga esercitazione politico-umanitaria che mira alla  messa al bando “globale” delle mine antipersona è una prova del nove per il “villaggio globale”.  Una strategia non nuova, ma amplificata e portata a livello mondiale, certamente innovativa rispetto alle grandi sedute dell’ONU, dei G7 e dei padroni del mercato.

L’esercitazione consiste in questo: riconoscere i rapporti che le nostre azioni e i nostri prodotti inesorabilmente creano; renderci conto delle conseguenze che provocano sugli altri “del villaggio”, vicini e lontani, grandi e piccoli, subito e in seguito; avere il coraggio di guardare in volto le vittime e di considerarle parte viva della propria vita sociale ed economica, anzi il parametro di eticità degli interessi di chi crede ancora alla tecnologia “avanzata” e al diritto di offendere chiunque prima ancora di avere motivo di difendersi.

Passi in avanti sono stati fatti, frutto della fatica che ogni vera esercitazione comporta.

Del resto, anche le centinaia, ormai migliaia di organizzazioni che si sono adoperate nella Campagna internazionale, anch’esse stanno imparando come confrontarsi tra loro,  con i produttori, i militari, i politici, con l’opinione pubblica e con la ben più complessa questione di educare noi stessi e le nuove generazioni alla pace attiva e globale.

Nel “processo strategico di Ottawa” (iniziato ad ottobre  ’96 con 50 Stati partecipanti), a Bruxelles (giugno ’97) ben 107 Stati hanno dichiarato la propria volontà politica di mettere al bando  totale le MAP.  Questi Stati hanno partecipato alla Conferenza di Oslo, (1-19 settembre), discutendo il testo del Trattato di messa al bando che firmeranno ad Ottawa (dicembre ’97). L’Italia vi partecipa a pieno titolo, ora che ha una legge considerata “d’avanguardia”.  Si sono convinti a partecipare anche gli USA, pur chiedendo un trattamento di favore (il solito vizio!).  Restano fuori i classici Cina, Finlandia, India, Israele, Pakistan... Magari saliranno sul prossimo treno.

Comunque vadano le cose, in questa esercitazione non si deve ancora cantar vittoria, per tanti motivi.

Primo, perché la pace è frutto di educazione e civiltà. Richiede tempi lunghi perché non  resti solo una tregua.  Secondo, perché nel mondo restano 120 milioni di mine che non firmano gli accordi di pace e fanno una vittima ogni 20 minuti: troppe per un villaggio!  Una certa burocrazia ne impedisce la disattivazione rapida e a tappeto.

Terzo, l’ipocrisia diplomatica non disarma facilmente; si maschera dietro parole di “intelligenza”, di tecnologia “non letale” di riserve ed eccezioni che sanno di negozio...  In ultimo, è a tutti noto che dopo le “buone leggi”, trovare l’inganno è un’arte. La Norvegia stessa, mentre ospitava la Conferenza per l’interdizione, ha acquistato mine per oltre 5 miliardi di lire, chiamandole ufficialmente “cariche frammentanti”, perché - a detta dei militari - “la parola mina evoca troppe immagini negative”.  In Italia, la Valsella si mette in liquidazione, ma ha già mosconi di stazza internazionale (Thompson, Giat...) che ronzano per rilevarla.

Senza un’attenta “vigilanza civica” (vedi MO, sett. ’96), il nostro villaggio globale rischia di ricalcare magari il vecchio villaggio indiano: tante borgate per altrettante caste, e i soliti intoccabili.



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