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RICORDANDO ALDO CAPITINI NEL 50° DELLA MORTE

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BRESCIA / VERSO IL FESTIVAL DELLA PACE 2018

“Bisogna assimilare pienamente l'esigenza socialista, cioè la compresenza reale dell'umanità lavoratrice, come soggetto della storia, come proprietaria dei mezzi di produzione, come avente nei suoi membri uguali possibilità di benessere, di sviluppo, di cultura, di fruizione dei beni della civiltà”. Ma non si può correre “il rischio di stabilire un totalitarismo amministrativo, e bisogna perciò far vivere il valore della libertà, cioè intima tensione alla produzione dei valori, del Bello, del Vero, del Buono, quella tensione ad uno sviluppo in cui l'umanità lavoratrice si eleva e si fa eterna”. Tutto ciò però ancora non è sufficiente, “in questa struttura, meglio in questo dinamismo, deve introdursi una aggiunta religiosa, essa può essere (credevo e credo) un’estensione della compresenza nel coro produttivo anche a chi è morto, a chi soffre, a chi è ai margini della vita e dell'attività, ai minorati, in modo da sentire l'infinita presenza di tutti come intimamente necessaria a produrre il valore, come intimamente e misteriosamente cooperante (Dio che si fa continuamente uno-tutti); valorizzando e popolando così l'ombra, il dolore, la morte”.

Il 5 novembre 2018, in un’anteprima del Festival della Pace di Brescia, Pietro Zanelli e Daniele Lugli hanno illustrato il pensiero del grande filosofo perugino, padre della nonviolenza italiana, Aldo Capitini, nel cinquantenario della sua scomparsa. Le citazioni virgolettate, nelle quali Capitini cerca di sintetizzare la sua concezione del “liberalsocialismo” sono estratte da "Nuova socialità e riforma religiosa", un suo fondamentale testo appena rieditato dopo decenni di oblio, richiamato più volte dai relatori. Lugli è partito dall’esperienza di Capitini nei primi anni successivi alla Liberazione, nel momento della ricostruzione morale e civile del paese e durante il dibattito attorno alla nascita della nuova Costituzione. Zanelli è partito dal fondo, dalla temperie in cui nacque il “‘68” del quale Capitini fu indubbio anticipatore e riferimento essenziale. Il valore centrale che egli assegna al “potere di tutti” – l’omnicrazia – al contributo di ognuno, in particolare delle classi più deboli, alla soluzione di ogni problema e alla costruzione di un “futuro che genera il presente” avendo sempre di vista un piano sociale, ampio e inclusivo. Il richiamo ininterrotto ad una rivoluzione permanente e nonviolenta, al rapporto strettissimo tra mezzi e fini, il valore fondamentale dell’assemblea praticato a fondo nell’esperienza dei C.O.S. (Centri di Orientamento Sociale), la spinta forte verso l’autogoverno intravvedendo con ampio anticipo i limiti dei sistemi parlamentari e il ruolo abnorme ricoperto dai partiti. La richiesta mai accolta – fatta all’epoca del Fronte Popolare in vista delle elezioni del ‘48 – di partire da assemblee popolari, attraverso una meticolosa costruzione dal basso, delle proposte politiche che solo al termine di questo percorso avrebbero definito uno schieramento elettorale, con il discrimine della nonmenzogna, del rispetto di tutti e dell’assoluta libertà di pensiero per chiunque. Un autore, un pensatore, un filosofo, un uomo politico e d’azione, fondatore del Movimento Nonviolento Italiano, di cui oggi più che mai avremmo infinito bisogno, la cui linfa preziosa potrebbe esserci di enorme aiuto.



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