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Con questo numero “Ad Gentes” (rivista di teologia e antropologia della missione) chiude i battenti, dopo 18 anni di vita. La Conferenza degli Istituti Missionari in Italia (CIMI), che nel 1997 ha promosso questo progetto, sostenendolo durante tutto il periodo, ha deciso di mettere fine a questa esperienza.

Ci sentiamo in dovere, anzitutto, di ringraziare gli abbonati, gli amici e i lettori che ci hanno seguito fedelmente in tutto questo tempo.

Ci sentiamo poi in dovere di chiarire, a loro ma anche a noi stessi, il perché di questa chiusura. Oggi, quando si parla di “chiusure” – e se ne parla spesso, purtroppo – si  pensa subito al motivo economico. In questo caso non è il motivo determinante, pur non essendo ininfluente.

Perché, allora? Potrebbero nascere dei sospetti, che è meglio fugare subito.

*Il primo, e più radicale, è che “Ad Gentes” chiude perché la stessa missio ad gentes sarebbe  superata. In una Chiesa tutta missionaria – come la vuole papa Francesco – l’ad gentes rientrerebbe nella missione generale della Chiesa: se tutti i cristiani sono missionari, nessuno lo è più specificamente.

A nostro avviso, invece, una migliore lettura del Concilio Vaticano II e dei documenti pontifici che l’hanno seguito – da Evangelii nuntiandi a Redemptoris missio fino ad Evangelii gaudium, pur nella loro diversità dei loro accenti – ci dice che la missio ad gentes richiede un nuovo impegno, anche sul piano teologico, perché diventi paradigma di tutta l’azione e la vita della Chiesa.

Certo l’ad gentes è cambiato profondamente; la missione non parte più dall’Occidente “cristiano” per andare verso il resto del mondo; l’eurocentrismo, superato sul piano storico, politico e culturale, è superato anche sul piano ecclesiale. La missione parte da ogni Chiesa locale verso ogni spazio dell’umanità. Non solo: la missio ad gentes si accredita nel suo imperdibile valore evangelico perché dispone ogni Chiesa locale a favore delle altre e della intera cattolicità:

così che in una virtuosa communio ecclesiarum ogni Chiesa si senta protagonista dell’annuncio del Vangelo a tutte le genti.

La tentazione che può insinuarsi nella pretesa di dissolvere la missio ad gentes sembra precisamente e paradossalmente questa: l’esasperata rivendicazione di una missio intra gentes finisce per dilapidare i tesori dello scambio tra le Chiese, acuendo da un lato la nota autoreferenzialità delle Chiese di antica tradizione e sottraendo, dall’altro, alle Chiese più giovani il sostegno per il loro consolidamento nella pratica del Vangelo.

*Il secondo sospetto, in qualche modo legato al primo, è che, nel nuovo clima ecclesiale, gli Istituti che si dicono specificamente missionari, e che fra il XIX e il XXI secolo hanno portato “il peso del giorno e del caldo” – diciamo pure la fatica e il martirio della missione fra i popoli – tirino ora i remi in barca e mettano meno l’accento sullo specificamente, adattandosi alle diverse situazioni e condividendo l’impegno missionario generale della Chiesa.

Conoscendo da vicino gli Istituti missionari e il modo in cui dopo il Concilio hanno rivisitato il carisma dei loro Fondatori e Fondatrici, ci pare che anche questo sospetto sia da allontanare. Essi guardano con gioia il fatto che i soggetti della missio ad gentes siano aumentati dopo il Vaticano II; sono lieti di collaborare con tutti questi soggetti; sono pienamente consapevoli che gli eventi della globalizzazione hanno avvicinato l’ad gentes fino a introdurlo, con le ininterrotte migrazioni dei popoli, nell’ambito delle “antiche Chiese”. Ciò non significa però che il loro carisma sia finito, ma piuttosto che deve mettere radici in ogni Chiesa particolare e nascere quindi anche nelle Chiese africane, latinoamericane, asiatiche e oceaniche. Anche in esse devono essere coltivate le vocazioni ad vitam ad extra, secondo l’indole e la cultura di ogni popolo, vivificate e purificate dallo Spirito di Dio. 

*Nasce un terzo sospetto, anch’esso grave: che una rivista di “teologia e antropologia della missione” non appaia più utile perché oggi ci sarebbe bisogno di cose più pratiche, di metodologie, di confronti fra esperienze, ecc. La riflessione teologica, cioè il confronto della Parola con la Storia, sarebbe un lusso, se non una perdita di tempo.

Si torna così a quanto diceva padre Franco Cagnasso, allora superiore generale del PIME, nel primo numero di “Ad Gentes” (1997): “I missionari mostrano insofferenza per ciò che appare loro lontano, privo di interazione efficace con le realtà di oggi”; ma aggiungeva: “Tuttavia essi esprimono come una sete, un bisogno intenso di essere aiutati, di non accontentarsi del fare e neppure del pregare… I missionari si riconciliano con la teologia, che non è puro esercizio di pensiero ma riflessione dentro la vita e dentro la fede; e i teologi trovano nei missionari interlocutori preziosi. Il tutto riceve ulteriore impulso dalla dimensione sempre più interecclesiale e interculturale della missione, sia a livello d’azione che di pensiero” [1]. 

A noi pare che gli Istituti missionari svaluterebbero la loro stessa esperienza, larga nello spazio e nel tempo, se pensassero che quanto da loro vissuto non meriti un’attenzione teologica e, attraverso questa, un rifluire – in tutta l’azione pastorale della Chiesa – di quella dynamis che la Parola e lo Spirito manifestano tra le genti anche per mezzo loro. La scommessa nobile di una rivista di teologia della missione va anche in questo senso: l’esperienza degli Istituti missionari viene sentita e praticata nel suo valore evangelico e, quindi, percepita come paradigmatica per tutta la Chiesa. Brillando, in tale singolarità, la novità stessa di Gesù, essa si segnala quale appello alle Chiese. E questo appello si fa, laboriosamente, sapere teologico sulla missione a favore di tutta la vita della Chiesa.

Certo, senza la percezione, tanto “lieta” quanto “drammatica”, della reale novità dell’esperienza dei “professionisti” della missione, l’interesse teologico non verrebbe attivato.

Il profilo critico e la fruttuosità pastorale del sapere teologico restano legati alla consistenza del reale spessore evangelico di questa particolare esperienza di missione. Il percepire la bella novità di tale prassi cristiana propizia stupore. E lo stupore si modula nell’interrogarsi circa la figura, il senso, l’origine di essa. La domanda che alimenta la teologia avrà la tonalità dell’esclamazione, come accade laddove si da l’effettiva meraviglia per una novità gradita: “Che cosa è questo? (man hu: cf. Es 16,15)”. Senza l’evidenza della novità di questa esperienza singolare, non si darebbe nessuno stupore grato ed emozionato; e senza lo stupore, nessuna domanda e nessuna intelligenza responsabile sulla fede cristiana e sul suo darsi. Insomma, nessuna teologia della missione.

Dio non voglia che una rivista a questo dedicata si chiuda perché a monte viene meno quella pratica missionaria con la sua evidenza singolare!  E Dio non lo vuole, almeno stando a quanto la traditio della Chiesa ancora custodisce nella creativa fedeltà alla norma canonica della sua fede apostolica. Siamo sicuri che gli Istituti missionari rappresentati nella CIMI non si perdono  in questa deriva. Se un cammino ora si interrompe, è perché esso riprenda, più giovane e deciso, adeguandosi non allo spirito del tempo, sempre fuggevole, ma a quelle condizioni della vita e della storia, a quei “segni dei tempi” a cui la Chiesa e la missione devono sempre dare ascolto.

Ce ne fa certi quanto dice la Presidenza CIMI nella lettera con cui si assume la responsabilità di questa chiusura: “Per noi Ad Gentes è sempre stata, ancor prima che strumento di animazione della Chiesa italiana, un laboratorio e un tavolo di confronto con il mondo teologico italiano. Essa non ha esaurito il suo compito! Vi abbiamo chiesto di chiudere un capitolo proprio per permetterci di pensarne un altro [...]. In quello che diciamo non c’è alcuna valutazione negativa del lavoro fatto. Anzi, siamo estremamente riconoscenti a tutti coloro che hanno portato avanti Ad Gentes per ben 18 anni. Ora però con umiltà chiediamo allo Spirito, il grande protagonista della missione, che ci indichi le strade che vanno bene oggi per continuare a svolgere all’interno della Chiesa italiana il ruolo importante che ci è ancora riconosciuto”[2].   

LA DIREZIONE E IL COMITATO SCIENTIFICO DI “AD GENTES”

Per info e ordinazioni: Editrice Missionaria Italiana


  • [1] F. Cagnasso, “Per mettere la Chiesa italiana in stato di missione”, in “Ad Gentes” (1/1997), p.  9.
  • [2] Dalla Lettera della CIMI a p. Mario Menin, direttore di “Ad Gentes”, a tutta la Direzione e al Comitato scientifico della Rivista (Milano, 6 agosto 2014).

icon EDITORIALE_AG_2-2014.pdf 769 kB
icon PRESENTAZIONE_AG_2-2014.pdf 265 kB

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