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Il 24 agosto ci sono state due iniziative in città che hanno visto la partecipazione di “Brescia per Mediterranea”. Cuore dell’incontro serale moderato da “Diritti per tutti”, alla presenza di Donatella Albini e don Mattia Ferrari - con esperienze sulla nave Mare Jonio rispettivamente come medico e cappellano “pescatore di uomini” - e Giuseppe Caccia - armatore della Mare Jonio -, è stata l’immagine della fortezza Europa che respinge, disumanizza e sfrutta il corpo migrante, criminalizzando la solidarietà.

Denso e faticoso il racconto e l’ascolto dei salvataggi in mare, perché accompagnato da parole crude capaci di smorzare facili buonismi: canotti di plastica stipati di uomini, donne e bambini sfiniti che siedono tra urina, escrementi e benzina in un puzzo repellente, triste prolungamento, per alcuni, delle vessazioni, delle violenze e delle umiliazioni vissute in Libia, a volte molto visibili come ecchimosi, lividi o ventri gonfi per le gravidanze. 

Un racconto denso e faticoso perché accompagnato da parole che mettono a nudo l’ipocrisia imperante: inorridiamo – giustamente – pensando alle presenti e future sofferenze della popolazione afghana, soprattutto delle donne, e siamo quasi del tutto indifferenti al rifinanziamento italiano alla Guardia Costiera Libica, proprio perché quei profughi (donne e bambini inclusi) non raggiungano le nostre sponde. Non importa a che prezzo, economico e umano. E non ci agitiamo granché quando sentiamo che, dopo i salvataggi, pare quasi impossibile trovare un porto sicuro in cui attraccare, o che il porto indicato è proprio sulla costa libica.

Ma anche un racconto carico di una forza contagiosa, quella che ha mosso l’esperienza di tutte le ONG che continuano nonostante tutto ad effettuare salvataggi in mare, e di tutti gli “equipaggi di terra” che le sostengono. Quella di chi è capace di accoglienza e solidarietà nei propri territori. Quella che parte dal basso e che fa dire a Renè, immigrato africano che ha preso la parola “abbiamo rivendicato e rivendichiamo l’operazione “Mare nostrum”. Dovremmo pensare più in grande, e rivendicare “mondo nostrum”, perché solo questa può essere la prospettiva”.



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