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LA PANDEMIA IN AMERICA LATINA / IL GRIDO DEI VESCOVI DELL’AMAZZONIA BRASILIANA

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Secondo i dati ufficiali, sempre da verificare, nelle ultime quattro settimane la diffusione del Covid-19 in America latina ha visto diversificarsi il proprio andamento: se in Brasile, saldamente in testa nella classifica continentale dei contagiati accertati e dei morti (e ormai al sesto posto nel mondo), i primi si sono quintuplicati, superando i 200mila, e i secondi quadruplicati, oltrepassando gli 14mila, altri paesi, come Costa Rica e Uruguay, hanno visto i numeri stabilizzarsi. Molto preoccupanti, dietro il Brasile, sono le situazioni del Perù, dove i malati sono aumentati del 400 per cento, arrivando a 80mila, con 2.267 decessi, del Messico, con 40mila contagiati e 4.477 morti (+500 per cento in entrambi i casi), dell’Ecuador (rispettivamente 30mila e 2.338), mentre il Cile è arrivato a 37mila infetti e “solo” 368 morti, 157 in meno della Colombia che conta 13mila contagi.

In Brasile l’esplosione dell’epidemia fa a pugni con l’atteggimento minimizzatore, se non proprio negazionista, del presidente della Repubblica, Jair Bolsonaro, che non perde occasione per screditare, a parole e coi propri comportamenti, le già blande misure di distanziamento sociale varate dal suo esecutivo e, soprattutto, ma a macchia di leopardo, dai governatori degli Stati. Ciò mette a rischio soprattutto i settori più fragili della popolazione, tra cui spiccano le comunità indigene dell’Amazzonia. Lo hanno denunciato in modo molto preciso 65 vescovi della regione, esprimendo “estrema preoccupazione” per il diffondersi della pandemia in aree in cui l’assistenza sanitaria territoriale è praticamente inesistente e gli ospedali (pochi e limitati ai grandi centri urbani, come Manaus e Belém) sono “al collasso”, per cui “il tasso di mortalità è uno dei più alti nel paese” e “molte persone, con evidenti sintomi della malattia, muoiono a casa”. D’altro canto, sottolineano i presuli, “estese zone del territorio amazzonico non dispongono di unità di terapia intensiva e solo pochi municipi rispettano i requisiti minimi raccomandati dall’Oms per quanto riguarda il numero di posti letto di terapia intensiva per abitante (10 ogni 100mila utenti)”.

E se “le popolazioni indigene, quilombolas (afrobrasiliani discendenti degli schiavi fuggiti dalle piantagioni nell’epoca coloniale – ndr) e altre comunità tradizionali corrono grandi rischi” per un’infezione probabilmente portata dai garimpeiros (i cercatori d’oro che invadono le terre indigene illegalmente, ma con l’acquiescenza delle autorità – ndr), analoghi pericoli incombono sugli abitanti delle periferie urbane, come dimostrano le fosse comuni scavate attorno a Manaus, pochè le loro condizioni di vita “sono ulteriormente degradate dalla mancanza di servizi igienici di base, alloggi dignitosi, cibo e occupazione. Sono migranti, rifugiati, indigeni urbani, lavoratori dell’industria, domestici, persone che vivono di un lavoro informale”, ai quali, ricordano i vescovi, è “obbligo dello Stato garantire i diritti sanciti dalla Costituzione federale”. I vescovi descrivono accuratamente il contesto in cui si inserisce il covid-19: “La ricerca illegale dell’oro, l’attività mineraria, la deforestazione (aumentata del 30 per cento nell’ultimo anno – ndr) per la monocoltura di soia e l'allevamento di bestiame per l'esportazione sono aumentate in misura allarmante negli ultimi anni”, anche per “l’allentamento delle ispezioni e l’insistenza del governo federale contro la tutela dell'ambiente e delle aree indigene protette dalla Costituzione”, il che fa intravedere “un'immensa tragedia umanitaria” e l’arrivo di “pandemie peggiori di quella che stiamo vivendo”. A questo si aggiunge “l'aumento della violenza nelle campagne, il 23 per cento in più rispetto al 2018. Nel 2019, secondo i dati della Commissione pastorale della terra, l'84 per cento degli omicidi (27 su 32) e il 73 per cento dei tentativi di omicidio (22 su 30) sono avvenuti in Amazzonia”. Ciò, ripetono i vescovi, per “la soppressione, lo smantellamento, la destrutturazione finanziaria e la strumentalizzazione politica di enti come il ministero dello Sviluppo agrario, la Fondazione nazionale dell’indio (Funai), l'Istituto brasiliano dell'ambiente (Ibama) e le agenzie di controllo sull’agricoltura, l’ambiente e il lavoro”, certo non compensate dalla “militarizzazione del Consiglio nazionale dell'Amazzonia legale”.

Di fronte a questo quadro, i vescovi chiedono alle autorià “provvedimenti urgenti per salvare vite umane, ricostruire comunità e relazioni attraverso il rafforzamento delle politiche pubbliche, in particolare del Sistema sanitario unico”, limitare l’ingresso “di persone nei territori indigeni, ad eccezione degli operatori dei Distretti sanitari speciali indigeni, effettuare test sulla popolazione indigena per adottare le necessarie misure di isolamento”, fornire “i dispositivi di protezione individuale raccomandati dall'Oms in quantità adeguata e con le corrette istruzioni per l'uso e lo smaltimento”, tutelare gli operatori sanitari, “garantire la sicurezza alimentare dei nuclei familiari indigeni, quilombolas, delle comunità fluviali e delle altre popolazioni tradizionali”, rafforzare “le attività di ispezione contro la deforestazione, lo sfruttamento minerario e il garimpo, soprattutto nelle terre indigene, in quelle delle comunità tradizionali e nelle aree di protezione ambientale, garantire la partecipazione della società civile, dei movimenti sociali e dei rappresentanti delle popolazioni tradizionali nelle sedi di decisione politica”. I presuli, infine,  domandano le revoca delle norme varate nel 2020 che favoriscono la deforestazione, la svendita delle terre demaniali, lo sfruttamento speculativo delle foreste, l'invasione, la devastazione e lo sfruttamento minerario e idrico delle terre indigene e dei territori tradizionali, delle leggi che chiudono la strada alla riforma agraria e alla demarcazione dei territori dei popoli originari, e del decreto che esclude dal Consiglio nazionale dell'Amazzonia legale i rappresentanti degli enti statali di protezione dell’ambiente e delle comunità indigene nonché i delegati delle organizzazioni della società civile.



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