Chi si sarebbe immaginato che tra i membri del Gruppo degli amici personali (Gap), la guardia del corpo del presidente Salvador Allende, ci fosse uno dei principali scrittori latinoamericani del periodo a cavallo tra il XX e il XXI secolo? E che un militante cileno giunto in Nicaragua a combattere nella Brigata internzionale Simón Bolívar sotto il comando del Fronte sandinista di liberazione nazionale contro la dittatura di Anastasio Somoza avrebbe poi raccontato di vecchi, gabbianelle e gatti? Quell’uomo era Luis “Lucho” Sepúlveda Calfucura (quest’ultimo cognome della madre, di origini mapuche), intellettuale, giornalista, guerrigliero, romanziere, attivista ecologista, poeta, sceneggiatore e tante altre cose insieme, morto a 70 anni, il 16 aprile in Spagna per le conseguenze del Covid-19. Ai suoi successi letterari, iniziati già nel 1969 col “Premio Casa de Las Américas”, a Cuba, per il libro di novelle Crónicas de Pedro Nadie (che gli valse una borsa di studo all’Università Lomonosov di Mosca, da cui fu espulso dopo pochi mesi) e tradottisi in una sequela infinita di premi, facevano da contraltare le molte sconfitte politiche, prima fra tutte quella del governo cileno di Unidad Popular, che gli era costata l’arresto, la tortura e l’esilio per mano del regime militare del generale Augusto Pinochet. Eppure tutto ciò non lo aveva portato a chiudersi nel mondo dell’accademia né a maturare un atteggiamento scettico, tanto da guardare con entusiasmo alle recenti mobilitazioni popolari cilene che dovrebbero portare a seppellire la Costituzione pinochetista. In realtà Sepulveda ha rappresentato bene non solo la generazione che nell’ultimo mezzo secolo ha lottato per un mondo migliore, ma, indirettamente, la qualità etica e ideale di quei processi storici che, con tutti i limiti delle esperienze umane, hanno provato a renderlo tale.
