Skip to main content

I MALINTESI “AFRICANI” DELLA LOTTA AL CORONAVIRUS

Condividi su

Una forte polemica è scoppiata in Francia e, di riflesso, in Africa, in seguito alle affermazioni il 1° aprile su LCI (La chaine info), molto diffusa nell’Africa francofona, di due medici francesi riguardo al trattamento del Covid-19 in Africa. Il dr. Camille Locht, direttore di ricerca all’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica (Inserm), intervistato dal responsabile del servizio di rianimazione dell’ospedale Cochin di Parigi, Jean-Paul Mira, circa l’uso del vaccino contro la tubercolosi per contrastare l’avanzata del coronavirus, ha risposto affermativamente alla proposta di sperimentare questo tipo di vaccino in Africa, come già fatto in passato per l’AIDS.

L’intervista ha provocato una generale levata di scudi da parte delle associazioni di difesa dei diritti umani. I due medici e la LCI hanno dovuto scusarsi per i “malintesi” causati dalla trasmissione. Anche il responsabile dell’Oms, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha qualificato come razziste le proposte dei due medici, denunciando “l’eredità di una mentalità coloniale…”. La polemica è stata così forte che il ministro degli Affari esteri il 3 aprile ha dovuto dichiarare che la LCI “non rifletteva la posizione delle autorità francesi”. Anche il presidente francese, il 15 aprile, si è dissociato da questo linguaggio irrispettoso verso i popoli africani.

Certo, sono state usate parole maldestre dai due medici francesi, senza la necessaria attenzione psicologica e magari con qualche riflesso coloniale. Se l’informazione fosse stata data diversamente, non si sarebbero risvegliati i riflessi coloniali condizionati sempre latenti in ambiente africano. Un’informazione così maldestra è capace di risvegliare purtroppo anche meccanismi di difesa che generano comportamenti controproducenti, facendo nascere dubbi sull’utilità delle campagne di vaccinazione in corso in Africa. Infatti, i pregiudizi di un’informazione poco attenta fanno crescere il sospetto tra gli africani che i paesi ricchi vogliano diminuire la pressione demografica del continente con operazioni che, più che curare, avrebbero di mira la contaminazione degli africani. La conseguenza di questa paura è che ora molte mamme dei neonati, che devono essere vaccinati, esiteranno a frequentare i luoghi di vaccinazione. Questo comportamento potrebbe riaprire la strada al ritorno in Africa di malattie pressoché sradicate o sotto controllo, mettendo in pericolo la salute pubblica. Se si arrestano le campagne di vaccinazione c’è il rischio di veder riapparire patologie ormai dimenticate.

È quanto sostiene il dr. Cyrille Guei-Koré, originario della Costa d’Avorio, che esercita in un ospedale francese, il quale in un’intervista alla Bbc a proposito delle proposte dei due medici francesi, ha stemperato la polemica dicendo che non si tratta dell’utilizzazione sperimentale di un nuovo vaccino contro il coronavirus, ma di riutilizzare per le persone adulte il vaccino contro la tubercolosi, di cui si fa già largo uso in tutto il mondo, anche in Africa, per combattere la nuova epidemia respiratoria, il Covid-19. Si è difatti constatato che i bambini non sono colpiti da forme severe di coronavirus, probabilmente perché il loro sistema immunitario è forte oppure perché sarebbero ancora protetti dal vaccino contro la tubercolosi, che agirebbe positivamente sul Covid-19. Il vaccino, spiega il dr. Cyrille, ha una durata di circa vent’anni. Ecco allora l’idea che ne è uscita: tra tutti i tentativi che si stanno facendo in questo tempo ancora privo di vaccino specifico, perché non provare il vaccino contro la tubercolosi su un certo numero di pazienti? Tra l’altro, queste prove sono già in atto in Australia su un campione di 4000 persone, in Olanda su 1000 persone e presto anche sul personale sanitario in Francia e in Spagna.

“I malintesi” possono causare forti danni. È quello che sta succedendo in questi giorni in Cina, sempre a scapito degli africani, proprio là dove è iniziata la storia del coronavirus. Un raptus di xenofobia ha colpito le autorità cinesi della città di Guangzhou (Canton), 15 milioni di abitanti, al sud della Cina, nei confronti degli africani presenti in città. È la rivista Jeune Afrique a riportare i dettagli di questi malintesi.

Cinque nigeriani, sfuggiti alla quarantena, hanno creato un bel po’ di guai agli altri africani residenti nella zona. Le autorità sanitarie, dopo essere risalite ai contatti che questi cinque avevano avuto, hanno sottoposto a tampone un gruppo di circa 2000 persone: 114 sono risultate positive al virus e considerate “casi importati”. Tra loro 16 erano africani! Per cui si è scatenata una campagna denigratoria sui social e gli “africani” della zona sono stati cacciati dalle loro abitazioni, senza che la polizia intervenisse; rifiutati negli hotel, obbligati a dormire sotto i ponti per quattro giorni, senza che nessuno vendesse loro del cibo per nutrirsi. Qualcuno, anche se negativo al test e senza mai essere uscito dalla città, è stato obbligato a sottomettersi alla quarantena in un centro specializzato senza poter rientrare nel proprio alloggio. Ad alcuni africani sono persino stati ritirati i passaporti. Sono dovuti intervenire gli ambasciatori dei rispettivi paesi affinché qualche cosa potesse muoversi.

Anche il Dipartimento di Stato statunitense ha consigliato agli afroamericani a non frequentare la città più africana della Cina. Sui social girava un video che mostrava un avviso affisso all’entrata del McDonald della città invitando i “Black People” a non entrare. I responsabili del ristorante si sono poi scusati! Gli ambasciatori africani in Cina hanno scritto al ministro degli Affari esteri denunciando questo trattamento discriminatorio ed esigendo “la fine dei trattamenti disumani inflitti agli africani chiedendo che fossero trattati alla stregua degli altri stranieri”. Informato poi dai rispettivi ambasciatori, il presidente della Commissione dell’Ua, il ciadiano Moussa Faki Mahamat, ha convocato l’ambasciatore cinese presso l’Ua per sottoporgli le preoccupazioni dei cittadini africani e “trovare misure correttive immediate”. Rispondendo agli ambasciatori africani, il portavoce del ministero ha riconosciuto la presenza di “malintesi” nell’applicazione delle misure di prevenzione e che il ministero avrebbe invitato le autorità locali a migliorare i loro meccanismi e metodi di lavoro.

A questo proposito, possono risultare illuminanti le parole dell’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia di papa Francesco: «Mentre lasciamo emergere una sana indignazione, ricordiamo che è sempre possibile superare le diverse mentalità coloniali per costruire reti di solidarietà e sviluppo: “la sfida, ricorda S. Giovanni Paolo II, è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, senza marginalizzazione”» (n. 17).



Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito