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Un europeo tra gli africani

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Questo editoriale vi giunge dal Burundi, dove mi trovo per l'insegnamento nel seminario maggiore, un servizio che mi è chiesto ormai da più di una decina d'anni.

Il vescovo della diocesi di Bururi già l'anno scorso mi aveva chiesto di predicare ai suoi preti un corso di esercizi spirituali. Dato che ho iniziato il mio lavoro missionario proprio nella diocesi di Bururi nel 1966, ho prontamente accettato la richiesta: sarebbe stata per me l'occasione di rivedere alcuni preti conosciuti allora e molti giovani preti avuti come allievi in seminario a partire dal 1997 a oggi.

Così, man mano che i partecipanti agli esercizi spirituali arrivavano al centro pastorale, ho rivisto e salutato tanti ex-allievi. Di molti ricordavo il nome, e questo li rallegrava; altri hanno dovuto ricordarmelo (la memoria ha un limite...). Ma al momento di riconoscerli o di ricordare loro qualche dettaglio della loro classe o dei loro successi negli studi, vedevo i loro occhi brillare di riconoscenza.

Parecchi di loro, sono cresciuti anche nella responsabilità e hanno incarichi di notevole impegno.

La misura del cammino fatto

Nel corso degli esercizi ho rifatto l'esperienza, già fatta in altre occasioni, di essere l'unico europeo in mezzo agli africani. Non è stata per me causa di smarrimento, ma ho avuto la misura del cammino percorso. Quando nel 1966 io arrivai in Burundi, a Bururi c'erano appena cinque preti locali in tutta la diocesi. Questa era stata fondata dai padri bianchi cinque anni prima, nella zona più meridionale del Burundi, dove allora le missioni erano poche e molto vaste. I cattolici erano pochi, dispersi tra molti protestanti e ancor più tra molti non cristiani. C'era da fare molto lavoro!

Il vescovo fondatore, mons. Joseph Martin, nel 1962 aveva fatto appello ai missionari saveriani, che si trovavano già nel vicino Congo Belga, e a partire dagli anni 1964-65 i saveriani hanno cominciato a mandare missionari. In breve, la diocesi di Bururi poté programmare l'apertura di nuove missioni e una capillare pastorale delle vocazioni. Oggi, in meno di 50 anni, la diocesi di Bururi ha oltre cento sacerdoti locali e una presenza capillare, in una regione che sembrava essere impenetrabile.

I nostri martiri in Burundi

La diocesi di Bururi è ora guidata dal secondo vescovo burundese; ha un seminario minore pieno di giovani allievi, un centro pastorale e una notevole attività sociale. Noi missionari saveriani abbiamo avuto nella diocesi di Bururi e nelle altre diocesi del Burundi una presenza molto significativa per una ventina d'anni fino a quando,  intorno agli anni '80, siamo stati espulsi quasi tutti.

Nel 1995, nel corso della guerra civile che ha insanguinato il Paese dopo l'uccisione del presidente Ndadaye, abbiamo anche avuto i nostri martiri: due saveriani e una volontaria laica, che hanno autenticato per sempre la nostra presenza in quella diocesi. L'assottigliarsi delle nostre forze ci ha fatto lasciare la diocesi di Bururi, ma il nuovo vescovo, mons. Venant Bacinoni, dal giorno del suo ingresso in diocesi, insiste perché sia riaperta una presenza saveriana. Me l'ha ripetuto ancora: vorrebbe avere una comunità saveriana che riprenda il suo posto nella sua diocesi.

Per una chiesa "cattolica"

So che non sarà facile, ma sarebbe significativo un nostro ritorno, non dettato dal bisogno di preti, ma dalla coscienza che una chiesa non è ancora pienamente se stessa se non è cattolica, anche nella composizione del suo clero. La cattolicità richiede questo scambio di forze pastorali che mostrano la ricchezza della comunione e soprattutto la sua apertura a tutti.

Noi europei, che abbiamo contribuito a fondare queste chiese, oggi ci troviamo a collaborare quasi solo con aiuti materiali. Lo scambio delle forze pastorali è molto sentito. Preti originari di Bururi sono in Francia, in Canada e anche in Italia. Essi sono necessari, come lo siamo stati noi per loro. Non si tratta solo di dare una mano, ma di costruire comunione.

La presenza di missionari in una chiesa aiuta a riconoscere e ad apprezzare le ricchezze delle chiese e anche i loro limiti; ma soprattutto aiuta a vedere l'opera dello Spirito Santo e ciò che costituisce la nostra fede e i valori delle nostre chiese.

Il senso della cattolicità lega insieme la comunità cristiana e le permette di crescere e di fruttificare ancora.



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