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Sud/Nord Notizie: Haiti, Sudan, Tunisia e Kenya

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Haiti, un anno dopo

C'è ancora molto da fare. Camille Chalmers, economista ed esponente di spicco della Piattaforma haitiana per uno sviluppo alternativo (Papda), spiega: "In teoria è la Commissione per la ricostruzione di Haiti a occuparsi dei progetti, ma in realtà è soprattutto la Banca mondiale a controllare i fondi in arrivo. Finora sono stati adottati 29 progetti, molti dei quali non hanno ancora ricevuto finanziamenti. Non c'è trasparenza nel meccanismo decisionale e tutto sembra bloccato. Il 75% dei fondi ricevuti per l'aiuto ai terremotati è consumato dal personale straniero, tra stipendi, alloggi, trasporti, vacanze. Si utilizzano i progetti per rafforzare il dominio e la presenza delle multinazionali. Passata la fase di emergenza, non si vede più l'efficacia delle organizzazioni umanitarie che comunicano poco tra loro e con il governo haitiano".

• Qualcosa è stato fatto. Il bilancio di Agire, gruppo di ong italiane, non è negativo: "Siamo riusciti a fare campi, centri sanitari, scuole e orfanotrofi per aiutare 250mila persone. Dall'Italia sono arrivati contributi per quasi 15 milioni di euro, il 93% dei quali destinato a progetti operativi e il 7% a spese organizzative. I problemi di Haiti sono legati anche alle carenze del suo governo".

Per Marco De Ponte, presidente di Agire, "il sistema di aiuti della società si è rivelato più efficiente e meno dispendioso di quello gestito dagli Stati". In altre parole, sembra che il caos dei meccanismi internazionali, Onu in prima fila, non abbia coinvolto il coordinamento delle ong.

Cose dell'altra... Africa

• Sudan: nuovo stato. Anche se mancano ancora i dati ufficiali, il referendum del 15 gennaio è stato un successo. La macchina elettorale ha funzionato. I votanti sono stati l'80% e si pensa abbiano decretato la nascita di un nuovo stato a sud del Paese. Uno stato che, come afferma p. Giulio Albanese "sarà tutto da costruire politicamente in una realtà molto complessa dal punto di vista etnico. La pacifica convivenza dipenderà dalla capacità di gestire equamente gli aiuti della comunità internazionale e gli investimenti delle compagnie straniere. La separazione, inoltre, riaccenderà il confronto politico e militare con gli atri Stati vicini sulla gestione del Nilo e sulla conseguente ‘lotta per il pane' che ne potrebbe scaturire; la diplomazia internazionale sarà chiamata a vigilare".

• Tunisia: bisogno di libertà. In un'intervista all'agenzia Misna, l'arcivescovo di Tunisi mons. Lahham spiega che l'origine della rivolta delle settimane passate è tutta politica. "In una regione del mondo dove la democrazia è inesistente, c'è grande bisogno di libertà. Assistiamo al tentativo di passare da un regime autoritario a un regime democratico. È un tentativo che fa paura, perché non ci sono paesi arabi a regime democratico. Il popolo tunisino è il primo a provarci. Il problema è che durante 23 anni di regime non è potuto emergere alcun nuovo leader. Le cose potranno cambiare solo con le elezioni. Più che le difficoltà economiche, in questi anni di crisi internazionale comune a molti altri paesi, a muovere i tunisini è stato il bisogno di libertà".

• Kenya: tratta di esseri umani. "Negli ultimi anni, il Kenya è diventato un punto di origine, transito e destinazione di uomini, donne e bambini, vittime del traffico d'esseri umani. In particolare, i bambini sono impiegati nei lavori domestici, come schiavi sessuali per i turisti, nel lavoro forzato in agricoltura, oppure sono costretti all'accattonaggio. I trafficanti conquistano con l'inganno la fiducia delle famiglie povere, offrendo ai genitori la possibilità di far istruire i figli.

In Kenya, però, è nata un'organizzazione cattolica (Haart) che intende sensibilizzare le potenziali vittime della tratta, creare programmi per aiutarle ed elaborare con enti pubblici e altre ong accordi per ridurre la povertà, che è uno dei principali fattori dello sfruttamento degli esseri umani.



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