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Da un paio di anni sono tornato alle isole Mentawai, in Indonesia, la zona dove avevo già vissuto la mia prima esperienza missionaria dal 2000 al 2006. In precedenza, ero stato a Sikabaluan, al nord dell’Isola di Siberut, mentre ora mi trovo più a sud in una piccola cittadina (o meglio un grosso villaggio), dal nome Muara Siberut.

Un “feudo cremonese”

La presenza della chiesa cattolica alle Mentawai è cominciata proprio qui più di 60 anni fa, e si è sviluppata con il contributo di diversi saveriani cremonesi: all’inizio i fratelli Pietro ed Angelo Calvi, ai quali si sono aggiunti in seguito i pp. Corda, Lazzari, Rossoni (della zona di Caravaggio, ma della diocesi di Cremona).

Attualmente, in comunità siamo in tre, di cui due indonesiani ed io italiano. Ci sono poi due comunità di suore, le ALI (Associate laiche internazionali) e una comunità di fondazione indonesiana insediatasi da qualche mese. Suor Elsa, la veterana del gruppo, vive da 50 anni in queste isole.

Riti e tradizioni antichi

Il popolo mentawaiano rappresenta una delle culture più antiche di tutto l’arcipelago indonesiano. Fino all’inizio del ‘900 non vi erano collegamenti stabili con il resto del mondo. Questo isolamento ha permesso di preservare tradizioni ancora oggi presenti, anche se inevitabilmente, con l’avanzare della modernità, destinate a scomparire.

Tanto per dare un’idea, si possono ancora vedere i tatuaggi che adornano il corpo delle persone, gli archi, le frecce, le tradizionali canoe e le palafitte dal tetto di foglie. Anche le cerimonie tradizionali, caratterizzate dalle richieste di protezione e benedizione rivolte agli spiriti e agli antenati, sono ancora molto diffuse e praticate. Allo stesso modo, la cura delle malattie è frequentemente affidata agli sciamani, i cosiddetti kerei.

Nelle periferie delle periferie

Le attività dei saveriani e delle suore ALI a Muara Siberut si concentrano nelle visite ai villaggi il sabato e la domenica per celebrare la messa e incontrare la comunità. Le sorelle si occupano particolarmente dei bambini e delle donne, le quali normalmente si tengono ai margini degli incontri, se presenti i mariti. Inoltre, anche se il governo ha iniziato a costruire delle strade (in verità piuttosto precarie), la visita ai villaggi è normalmente abbastanza travagliata e richiede ore di barca o di cammino a piedi. Qualcuno inizia ad avventurarsi anche in bicicletta o in motorino, anche se le condizioni sono spesso proibitive per il fango e le profonde buche.

Per questo motivo i 26 villaggi della nostra parrocchia vengono visitati in media 4 volte all’anno, mentre quelli della costa occidentale, dove l’oceano in certi periodi non permette la navigazione in barca, soltanto due volte l’anno. Quindi, tutta la vita delle comunità cristiane è basata sull’opera di laici che si impegnano a guidare la liturgia della Parola e a organizzare le attività necessarie alla vita della chiesa.

Formazione umana e cristiana

Nel centro parrocchiale c’è anche un policlinico, una scuola elementare, una media, e un convitto di circa 200 ragazzi. Attualmente, si sta costruendo una struttura simile per accogliere anche gli studenti delle superiori. Avere tanti ragazzi accanto a noi permette la loro scolarizzazione (in alcuni villaggi vi sono soltanto le scuole elementari) e favorisce la loro formazione cristiano-umana.

Oggi sono ormai tanti i funzionari statali, insegnanti e coloro che occupano posti di responsabilità, cresciuti in questi convitti e nelle scuole cattoliche istituite sul territorio ormai più di 50 anni fa. La felice intuizione dei primi missionari di creare queste strutture per amare concretamente il popolo mentawaiano sta ormai dando i suoi frutti maturi.



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