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Ricordando p. Piero Calvi Missionario in Indonesia

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Il suo sorriso, le sue battute, il suo zelo apostolico non svaniranno facilmente tra coloro che lo hanno conosciuto. Nell'agosto dello scorso anno è tornato alla Casa del Padre, p. Piero Calvi, un Saveriano straordinario. Ci è caro richiamare la sua figura, dolce e sorridente, attraverso queste testimonianze di due persone che gli sono vissute accanto durante i suoi quarant'anni trascorsi nella missione di Indonesia.

Un missionario per il Terzo Millennio

Questa sera sono triste. Ho ricevuto la notizia della morte del mio amico, dell'amico di tutti: p. Piero Calvi: un Saveriano dalla fede di Abramo e dalla semplicità di Samuele. Mi è  stato maestro di vita e lo voglio ricordare. Padre Piero è stato forse l'ultimo missionario che concepiva la missione come una battaglia navale: gli piaceva affondare le corazzate.

Per lui le corazzate erano i duri, i "paganacci" e soprattutto coloro che in qualche modo si opponevano all'attività  missionaria.  Li prendeva di mira, li studiava, li circuiva, e con tanti rosari li convertiva. Infine amava anche celebrare insieme la vittoria: il vincitore e il vinto, il contento e il contentissimo. Poi ne parlava, ne raccontava le burrasche e le baruffe e ne mostrava soddisfatto la foto di gruppo: "Credevano loro di farla franca con Cristo!".

Padre Piero ci divertiva con tante barzellette, ma ci conquistava con il cuore. Come superiore non amava la formalità della lettera ufficiale, ma non perdeva l'occasione di inviare alle varie missioni uno scarabocchio, un saluto su un qualsiasi pezzo di carta e di sentirvi di ricevere tutto il "Piero". Quando vedeva partire i suoi missionari per le avventurose traversate in mare per le isole Mentawai o per altre "disgraziate" destinazioni, li seguiva a vista, dalla riva, finché poteva, ma non si dava pace.

Alla sera, dopo cena, quasi per coprire l'agitazione interna che lo tormentava, c'invitava a consultare le carte con il "napoleonico": un modo come un altro per scaricare la tensione. "E sì, vedete?, il p. Tonino sta tribolando con le onde". Oppure: "Questa traversata è disastrosa, le carte parlano chiaro, può darsi che p. Sandro debba tornare indietro". Oppure: "Tutto liscio come l'olio, questa volta per p. Vinio è una crociera nei mari del Sud".

E quando p. Morini partiva per le strade disastrate del Pasaman con la jeep: "Povero Marini, le carte non parlano chiaro, sembra che abbia problemi, non so se per il fango o per qualche guasto al motore". E magari il giorno dopo si vedeva p. Morini ritornare indietro a piedi, con un pezzo di motore in mano.

Padre Piero, i problemi di noi missionari, li viveva sulla propria pelle. Un pomeriggio gli portano un biglietto: "Padre Marini è grave al Pasaman". "Corvini - mi fa - si parte!". Erano le tre del pomeriggio quando ci mettemmo in strada. Con una scassata jeep su e giù per le giogaie dei monti di Kuburan o lungo i precipizi e le foreste di Talu. Rosari e canti, canti e rosari. Cantavamo come due campanacci fessi, ma avevamo bisogno di coraggio; e poi c'era da stare desti per non essere agguantati da qualche tigre lungo quelle fratte selvagge.

Arrivammo alle nove del giorno dopo. Trovammo p. Morini presso una famiglia di cristiani. Sembrava una lisca di pesce, ma gli occhi erano quelli di un pesce vivo. Si abbracciarono, ma p. Piero aveva le lacrime. Fu durante quel viaggio, sull'alto ponte di Kapar, che p. Piero si trovò per la prima volta a quattr'occhi con la morte. Trovammo il ponte completamente dissestato.

Due file di tavole parallele, sospese lassù, a 15 metri, segnavano la sola speranza per salvare il nostro Marini. Padre Piero davanti alla jeep misurava i centimetri e dirigeva l'autista: la jeep un passo avanti, p. Piero un passo indietro, metro dopo metro. Io ero a fianco di p. Piero. Procedendo all'indietro e completamente assorto nella manovra, sbagliò a mettere il piede e si trovò nel vuoto per la mancanza di assi. Fu un batter d' occhio, un istante d'istinto, mi buttai su di lui e riuscii a trattenerlo per la testa prima che si inabissasse nel vuoto.

Mi serbò sempre gratitudine per avergli salvato la vita e lo dimostrò a sua volta quando, anni dopo, anch'io mi venni a trovare nella medesima situazione di p. Morini. Anche quella volta un messaggio di emergenza era arrivato nelle mani di p. Piero. Pochi minuti per organizzare il soccorso e partire. Con un automezzo di una ditta italiana si mise in viaggio. Il messaggio gli dava poche speranze di trovarmi in vita e la lunga corsa di 15 ore gli sarà sembrata un'eternità.

Quando l'automezzo sprofondò in una fangaia non pensò di meglio che proseguire a piedi. Arrivò in missione dopo le nove di sera con una bottiglia sottobraccio. La missione era ormai nel buio completo, la porta aperta. Lo sentii arrivare, attraversare il corridoio di tavole con passo incerto, spinse la porta della stanza e mi trovò nella brandina. Preso da un raptus di emozione mi si buttò sopra, e prima di dir parola m'infilò in bocca l'orlo di una bottiglia di Martini. Piangeva!

In seguito mi confidò che aveva pensato al Martini come l'unica medicina utile se mi avesse trovato in vita. Arrivando alla missione e trovandola nel buio, aveva pensato al peggio. A Caldarola si dice: "Calzolaio tic, tic, non è povero non è ricco". Padre Piero da ragazzo era stato calzolaio, ma aveva imparato ad essere ricco.



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