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Quell’hippie un po’… stagionato, P. Tobanelli e i ''Tokay''

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Padre Riccardo Tobanellli, saveriano di Castrezzone - Muscoline, lavora in Bangladesh. È uno di quei missionari che se lo incontri una volta nella vita non lo puoi più scordare, non solo per il suo aspetto un po' tra il santone indiano e l'hippie stagionato, ma soprattutto per quella simpatia che spinge ad ascoltarlo e a credergli.

Il suo look disorienta un po', ma quando sorride e parla della vita missionaria ti conquista e affascina. Viene voglia di fare qualcosa per i suoi ragazzi di strada, per le situazioni limite con cui ogni giorno si confronta in quella terra sovrappopolata e colpita da catastrofi naturali.

Lo abbiamo intervistato durante le sue vacanze in Italia.

Da quanto sei in Bangladesh?

Sono in Bangladesh dal 1982. La mia attività si svolge in ambiente prevalentemente musulmano e predilige l'aspetto sociale. Ho lavorato con un gruppo di fuoricasta costruendo delle piccole scuole e dando vita a una piccola organizzazione chiamata Dolet, che si occupa di queste persone.

E poi cosa hai fatto?

Dal 1994 mi sono dedicato alle vittime dell'urbanizzazione selvaggia, che ha portato all'abbandono dei villaggi e di molti valori culturali tradizionali, che sono andati persi. L'inserimento in un ambiente ostile causa molti disagi. La famiglia spesso si disintegra e i bambini il più delle volte sono lasciati a se stessi. Questi bambini cadono in situazioni disperate e tragiche, come lo sfruttamento del lavoro e la prostituzione.

E diventano prede della strada...

Esatto. Il fenomeno viene chiamato tokay per via del lavoro di raccolta e riciclaggio di materiale che trovano nelle discariche. Abbiamo cominciato a offrire loro dei rifugi per la notte. In seguito, abbiamo accolto i più piccoli in strutture apposite, per dare loro una vita più normale nella quale fosse compreso, oltre all'alloggio e ai pasti regolari, anche l'educazione scolastica.

Ora sei nella capitale?

Tre anni fa mi sono trasferito a Dhaka dove il problema dei tokay è più grave. Con alcuni dei miei ex ragazzi di strada, ormai cresciuti, abbiamo dato vita a due centri. Il primo è a Kaworan Bazar, vicino alla ferrovia in uno di quei quartieri dove la vita è a dir poco disumana. L'altro è situato a Savar nella zona industriale dove oltre al consueto posto per la notte, durante il giorno teniamo aperto un asilo infantile per ospitare i figlioletti di giovani donne abbandonate. Queste mamme per sopravvivere fanno le serve nelle case degli operai della zona.

Hai costruito una squadra!

Con alcuni giovani di queste comunità abbiamo pensato di affrontare con pochi mezzi e tanta buona volontà il dramma dei bambini di strada. Ci sembrava un problema che riguardasse tutti. La maggior parte del lavoro è svolto dai giovani che si adoperano a soccorrere, educare e aiutare bambine e bambini abbandonati. Con una quindicina di giovani, tra cui anche delle ragazze, abbiamo aperto nuovi centri dove con la loro esperienza di ex tokay, aiutano i bambini a intraprendere nuove strade per un inserimento più dignitoso nella società.

Cosa fate in particolare?

Uno dei compiti è il rapporto con le forze dell'ordine. Infatti, la tendenza è quella di arrestare i bambini di strada, mandarli davanti a un giudice, condannarli e metterli in prigione. È facile così perdere le loro tracce. Con il gruppo di giovani abbiamo creato delle unità di pronto intervento. Non appena veniamo a conoscenza di questi casi interveniamo presso la polizia per farli rilasciare e farceli affidare.



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