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Pronti per diventare annuncio

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Una testimonianza che si fa annuncio

Il 13 settembre u.s., nella cattedrale di Parma, sette giovani Saveriani hanno ricevuto l'ordinazione sacerdotale.

Dopo una breve permanenza di due anni in Bangladesh, posso offrirvi solo alcuni flash sulla mia esperienza di presenza e contatto con la gente di questo paese, con una elevata presenza musulmana (85-90%). Dopo lo studio della lingua, sono stato in un villaggio, Bagachara, con p. Gabriele Spiga, saveriano di 15 anni che vive con dei ragazzi disabili. Il nome della casa è "Asharbarì", "Casa della speranza", perché tutti coloro che desiderano trovare una speranza perduta e negata la possono trovare in un ambiente e da persone che li accolgono al di là della religione e casta di appartenenza.

In questa casa vivono sette persone disabili, che vanno avanti con le loro forze e con l'aiuto di qualche esterno. Sono impiegati nella Tuition school, creano cartoline con la tecnica del ricamo, fabbricano candele, imparano a riparare biciclette, svolgono altri piccoli lavori utili e sono anche impegnati nello studio. I ragazzi di Asharbari sono musulmani e indù; con loro si è instaurata subito una relazione di rispetto reciproco nel tentativo di vivere insieme, condividendo lo stesso ambiente e gli stessi impegni.

In Bangladesh occasioni di primo annuncio non sono mancate, bastava andare in un bazar con qualche ragazzo disabile fermandosi in qualche posto a bere del tè e far ritorno a casa; non tante parole, il passare tra la gente, il far vedere che un bideshi (straniero) cammina con un disabile, è più di una omelia sulla dignità della persona. Attraverso la testimonianza la gente intuisce la novità del Vangelo annunciato con la vita.

In Bangladesh l'annuncio non può essere accompagnato solo dalle tante opere ( ospedali, scuole), che rischiano di mostrare sempre più l'idea che i cristiani sono una potenza economica; ma l'annuncio deve essere fatto con una presenza fatta di ascolto, di vicinanza, alcune volte silenziosa, ma che tocca in profondità.

Ricordo molto bene una visita fatta ad un musulmano malato di cirrosi. Era li, con la pancia gonfia, disteso nella sua veranda, in attesa di esalare l'ultimo respiro. Inerme, senza forze, circondato dalla moglie e dalle due piccole figlie, da parenti e gente del vicinato. Mi avvicino, anzi è la gente che mi porta a lui: mi siedo ai suoi piedi, e nella sua profonda debolezza mi prende la mano e mi invita a recitare una preghiera cristiana; dopo di ché porta la mia mano sulla sua fronte e chiede di essere segnato con il segno della croce. La gente attorno intona una preghiera musulmana.

Tutto questo cosa è se non primo annuncio? Come diceva suor Filo: "Dobbiamo essere presenza come Maria ai piedi della croce, tra persone che a volte facciamo fatica ad amare".



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