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Perché Dio non blocca il Covid-19?

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Quante volte ho sentito nascere in me questa domanda! Umana e legittima, ma senza risposta. Ho letto che un signore affrontò un giorno Madre Teresa di Calcutta: “Perché mai Dio non toglie un po’ del male del mondo? Lo potrebbe fare e sarebbe un bene per tutti”. E la Madre di rimando all’interlocutore: “E Lei, che cosa fa per togliere un po’ di male dal mondo?”.

La risposta, per quanto secca, non era impertinente, ma vera e detta a proposito, in risposta all’eterno insolubile quesito del male nella creazione. Una risposta, guarda caso, che è ritornata di estrema attualità in questo momento. Non potrebbe Dio far finire questo flagello del Covid-19 che sta mietendo vite umane, bloccando il lavoro, e compromettendo il futuro della società e di tante famiglie? Quante preghiere pubbliche e private si alzano a Lui in questi giorni nelle case! Lo stesso papa Francesco si è speso in pubbliche suppliche davanti a una Piazza san Pietro e in una Basilica vuote! In fondo non sembra di chiedere troppo… Come mai Dio è così sordo o lento nel rispondere?

Anche nei vangeli sono raccontate ripetutamente scene di paura in cui i discepoli invocano il Signore. Alla loro invocazione durante la tempesta sul lago di Tiberiade Gesù ha risposto calmando le acque e facendo cessare il vento, ma ha preso l’occasione per raccomandare ai discepoli una fede che non trovava in loro. Ma è intervenuto… E allora come mai oggi, in questi drammatici frangenti, mentre tutti siamo vittima della paura e lo preghiamo, Dio non risponde? Questo mette a dura prova la nostra povera fede.

Non c’è dubbio che facciamo bene a pregare, anche perché proprio Gesù ci invita a bussare per ottenere e a domandare per ricevere, ma dobbiamo anche ricordare una verità che spesso dimentichiamo. L’abbiamo sentita al catechismo, ma è scivolata via e ora che ci servirebbe, non la ritroviamo facilmente. Il cristianesimo ha superato quello schema ingenuo che è in noi: una preghiera in base alla quale noi contrattiamo con Dio i beni della salute, una guarigione, la fortuna e anche… la vincita al lotto, in cambio di qualche offerta da parte nostra, un gesto di beneficienza, un “fioretto”, una promessa... Una religione così è avvilente per l’uomo oltre che indegna di Dio.

L’uomo è ridotto a essere una marionetta in balia di poteri oscuri, nelle mani di un burattinaio che al massimo può ingraziarsi con prestazioni particolari, promesse e sacrifici. Ma anche quest’immagine di Dio è indegna oltre che ingiusta. Dio finisce per essere un essere onnipotente, ma sbadato, che ha creato un mondo che non funziona bene, che non riesce più a governare secondo il progetto creatore, oppure un Dio che dimentica la sua creatura, peggio ancora, un Dio cattivo e crudele, insensibile per le sofferenze delle sue creature, di cui non si occupa più di tanto. Diciamolo subito: questo è un Dio pagano che non ha nulla da spartire con il Dio che Gesù ci ha rivelato. Il Dio di Gesù Cristo non è un vampiro che cerca il mio sangue, è semmai un “donatore di sangue” che offre il suo e liberamente si sacrifica per il bene di chi ha bisogno, uno che è pronto a dare anche la sua salute per la vita altrui e la pienezza della felicità, uno che non toglie nulla e non chiede nulla …ma dà tutto quello che ha: “Gesù Cristo mi ha amato e ha dato tutto se stesso per me”, ha detto Paolo (Gal 2,20).

Il Dio che non risponde alla nostra preghiera non è un Dio che sta lontano, ma sta con la donna e l’uomo di oggi soprattutto nel momento della tempesta. È nella barca con i discepoli, condivide il loro pericolo e la loro paura. Il Signore non ci abbandona nei momenti tragici, perché “sente” nella sua carne i nostri dolori, soffre con noi e piange con noi per il male che il mondo si procura o si tira addosso. Questa è la nostra fede, questo è il cristianesimo.

Da questo modo di vedere, il nostro Dio e il suo rapporto con noi nascono ovviamente due atteggiamenti tipici: la fede e l’amore. La fede anzitutto. Dio può sedare la tempesta, e noi quindi facciamo bene a pregarlo, ma Gesù fa di più. Tende la mano a un Pietro impaurito per la sua poca fiducia, lo abbraccia e lo accoglie perché senta la sua compagnia. Come Paolo, così Pietro e ciascuno di noi, ha diritto di affermare: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,32-37)? Nulla e nessuno, risponde Paolo, neppure il Covid 19. Finché l’uomo crede e si fida della parola di Gesù, finché lo guarda negli occhi, cammina sulle acque, ma quando incomincia a guardare le onde minacciose e ad aver paura, sprofonda.

In secondo luogo, l’amore. Davanti al male del mondo, Dio non si è ritirato, non ha detto “arrangiatevi”, ma si è tirato su le maniche e ha fatto quello che poteva: ha lasciato il suo mondo e la sua condizione divina ed è venuto fra noi a condividere la nostra povertà e vulnerabilità, ha consegnato sé stesso e si è lasciato condurre dove gli altri hanno voluto. La medesima carità divina che è stata concessa anche a noi nel battesimo ci spinga a fare quello che possiamo per gli altri, anche davanti al Covid-19.

Lo stanno facendo esemplarmente tanti medici, infermiere e infermieri che rischiano (non solo a parole) la vita per amore dei malati. Forse noi non possiamo fare altrettanto, ma accettiamo di fare almeno quello che ci si chiede per non diffondere questo virus e per non permettergli di attaccare altri. Stare a casa nostra può costarci, certamente, ma non è poi impossibile: è un gesto di amore per il prossimo che Gesù ritiene fatto a sé stesso (da: www.vitatrentina.it



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