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Per un’accoglienza quotidiana

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Chi passava in piazza d’Angiò a Martina Franca, domenica 23 febbraio, non riusciva a capire perché c’erano tanti SCOUT e di tutte le età. Era una domenica con il cielo che minacciava pioggia. Ma si sa, gli scout non si preoccupano molto di questo; al massimo si coprono bene. Erano lì in tanti (ottocento e più, da tutta la zona di Taranto, composta da 21 gruppi) per fare festa insieme.

Danze e ritmi africani

Il tutto è iniziato con un simpatico signore inglese, Baden Powell, che nel 1907 diede avvio all’avventura scout. Quella domenica gli scout ricordavano le radici, gli inizi, e lo facevano insieme con gioia. Eravamo insieme ai fratelli e alle sorelle dei dintorni, ma con il cuore aperto al mondo intero.

Insomma, continuavamo il cammino di accoglienza e di fraternità universale, dando anche il nostro piccolo contributo per aiutarli a vivere un po’ meglio.

E allora, via al grande cerchio, l’alzabandiera e da lì, sparsi nei cinque continenti, iniziava l’avventura. In Africa il canto e la danza di “Jambo Bwana” ci scatenava in ritmi che venivano da lontano con strumenti improvvisati. Tutto si muoveva e ci sentivamo vicino a loro. I lontani diventavano vicini e non c’erano problemi, come dice l’espressione swahili “hakuna matata”.

In America e Asia, fino all’Oceania

L’America ci ricordava i tanti pugliesi che agli inizi del Novecento vi erano emigrati. Il viaggio in nave per due mesi, i sogni, le speranze si cullavano sulle onde. E poi, arrivati a destinazione, una nuova vita cominciava.

Invece in Asia l’incontro con tante culture, lingue, popoli e religioni ci apriva a un mondo quasi “magico” in cui diventava più facile sentirsi vicini a Dio e ai fratelli. L’Oceania, che conosciamo solo dai libri di geografia (tanto è lontana!), ci aveva trasportato nelle migliaia di isole e popoli che là vivono, soffrono e sognano un mondo migliore.

E non dimenticavamo la nostra terra d’origine: l’Europa, che sembra diventare qualcosa di poco accogliente. Allora il fare “una barca, con una vela” per arrivare in porto ci aiuta ad accogliere tutti quelli che vengono da noi. Ce lo ricorda con forza e simpatia papa Francesco. Tutti i giochi e le attività sono stati vissuti con le tecniche scout. Perciò era facile viaggiare nel mondo intero.

Pronti a fare il nostro meglio

Un altro appuntamento è stato quello alla chiesa “Mater Domini”, dove il nostro amico Gesù ci ha chiesto di stare un po’ con lui. Abbiamo riscoperto la gioia di stare insieme per ascoltare anche mons. Filippo, il nostro arcivescovo, che ci ricordava le sue esperienza di accoglienza, quando era piccolo. I canti, la Parola del Signore e condividere il corpo di Gesù ci hanno dato forza e coraggio.

Poi, finalmente, abbiamo frugato nei nostri zaini e i panini sono saltati fuori per essere accolti… dentro di noi. Ormai il tempo ci diceva che se non ci sbrigavamo, sarebbe scesa la pioggia. Abbiamo terminato insieme, ricordandoci che il seme, di cui ci avevano parlato i contadini all’inizio dell’attività, dovevamo farlo crescere nei luoghi dove noi viviamo. Come?

Semplicemente facendo una buona azione quotidiana, attività da vivere insieme con il gruppo e nei momenti di riflessione e di servizio. Insomma, non ci accontentiamo delle parole. Vogliamo essere concreti ed essenziali.

L’accoglienza, che è nelle nostre radici, deve diventare realtà quotidiana. E noi, come sempre, “siamo pronti a fare del nostro meglio per lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”.



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