"Non abbandoniamo la gente del Congo"
Un appello lanciato da p. Silvio Turazzi
È urgente esserci. È questo il momento: per la regione del Kivu, per tutto il Congo, come per l'Africa delle guerre dimenticate. È urgente potenziare la presenza delle comunità missionarie, intensificare i legami con le Chiese locali, condividere con la gente che da anni porta il peso d'una guerra assurda ed inutile. La povertà semplice di un tempo è divenuta miseria, assenza del minimo necessario per la sopravvivenza, un insulto alla dignità dell'uomo.
Sono appena tornato da Gorna, una città del Kivu dove sono vissuto per anni e che ora è sotto il controllo dei ribelli e dei Paesi che li appoggiano. Attraversando il Ruanda non è difficile cogliere la diffidenza e la paura nei confronti di un regime appoggiato sulla forza delle armi. La guerra, almeno a Gorna, è finita; ma la pace è lontana. Altrove si continua a combattere.
Ma oltre al problema degli scontri con l'opposizione armata, il numero alto dei detenuti, i sospetti di genocidio, c'è l'esclusione della maggioranza degli abitanti dalla vita politica del Paese. Lungo il percorso ho visto la gente, i raccolti di sorgo, patate, mais. Ho ringraziato il Signore che ha messo la fecondità e la continuità della vita nel cuore stesso della terra.
È il tempo della stagione secca, i contorni del paesaggio sono un poco offuscati. Arrivato a Goma, ho visto i segni di una società ferita: sofferenza, farne, tensioni, miseria. Sono passati nella città i vari eserciti di "liberazione". Mi diceva una suora: "È difficile fare un tratto di strada senza essere fermati da una mamma che chiede aiuto per "liberare" il figlio dall' ospedale, dove resta recluso finché non ha pagato le cure, o da qualcuno che sta per essere sfrattato con la famiglia. Incontro amici, ascolto persone: mamme, studenti, handicappati".
Sento il peso di tanta sofferenza. Imparo il prezzo per l'affitto di alcuni metri quadrati di una baracca, la tassa scolastica, il costo di una sedia a rotelle o delle stampelle di legno. Non c'è lavoro; non ci sono stipendi per gli insegnanti, gli statali, i militari. La sopravvivenza è un mistero, o un miracolo della solidarietà africana.
Ma ciò che più mi ha colpito è la voglia di vivere, la capacità di creare spazi nuovi di vita e di libertà, la resistenza della gente oltre il dolore, i lutti, le malattie, speranza di un giorno nuovo in cui la vita tornerà a scorrere tranquilla. Ho celebrato la messa in cattedrale: una folla immensa, un'assemblea composta e viva, canti e fede; la fede di chi trova in Dio il motivo della speranza. C'è chi vede nella guerra un tempo di purificazione, l'occasione d'una nuova nascita del popolo congolese.
Bisogna esserci: non possiamo dimenticare l'Africa, la sua gente, le sue potenzialità per il futuro dell'umanità.