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L’esperienza dei laici saveriani

La missione di Goma, in Congo, si è rivelata un’esperienza soprattutto di verifica, che ci ha interpellato da tutti i punti di vista. Ci ha dato, comunque, nuova linfa, nuovo slancio per continuare il cammino verso la missione.

2006 10 Laici GomaQuando nel 1994, tornando da Goma, tentavo confusamente di descrivere le mie reazioni interiori a p. Arrigoni, lui aveva tagliato corto ponendomi questa domanda: “Quello che hai visto ti ha spaventata o innamorata?”. Eravamo entrati nel laicato saveriano da appena un anno e mezzo. Avevamo sentito l’esigenza di vedere con i nostri occhi la realtà della missione, ma non sapevamo ancora esprimere ciò che, dentro di noi, andava prendendo forma. Eppure, sì, eravamo proprio innamorati! Avevamo visto la pienezza di vita di quanti avevano fatto di se stessi un dono, e non riuscivamo ad immaginare niente di più bello della missione alle genti.

Dopo 12 anni, a Goma

A Goma ci siamo tornati dopo 12 anni, nel luglio scorso. Questa volta la motivazione del viaggio era diversa. Da ben tre anni, sono là i “nostri” laici saveriani, i coniugi Paolo e Giovanna Volta. All’inizio di quest’anno li ha raggiunti Angela Marano di Eboli. Ma per la fine del 2007 si prevede il loro rientro. Il nostro viaggio, dunque, era un tentare di gettare le basi per un nostro inserimento, così da dare continuità alla presenza dei laici saveriani in Congo.

Mentre nel primo viaggio eravamo stati rapiti dalla bellezza della vocazione missionaria, ora la nostra attenzione era puntata su noi stessi, in rapporto alle vicende che ci interpellavano giorno dopo giorno: una quotidianità fatta di contraddizioni, di imprevedibilità, di sofferenze alle quali cercavamo di dare un senso o per le quali tentavamo di immaginare soluzioni.

Missione: stupenda e terribile!

È stato così che, pian piano, ci siamo trovati davanti a qualcosa che non ci aspettavamo: davanti a noi stessi, così come siamo. A noi piccoli, confusi, forse inadeguati, è tornata alla mente la domanda di padre Arrigoni: “spaventati o innamorati?”. Ci sembravano le due facce di una stessa medaglia. La missione è stupenda, perché opera di Dio; è terribile, se ci si basa solo sulle proprie forze.

Al ritorno dal Congo, durante la “convivenza estiva” del laicato saveriano, abbiamo condiviso con semplicità la nostra scoperta. E di rimando, abbiamo ricevuto un nuovo dono. Era l’ultimo giorno della “convivenza”. Padre Sergio, fermandosi sulla prima lettura della Messa, ci ha dato la “chiave di lettura” per riflettere su quanto avevamo vissuto a Goma.

Ancora nelle mani di Dio

Egli diceva che a volte il Signore ci chiede di “scendere” nella bottega del vasaio, di cui parla il profeta Geremia, cioè in quella parte di noi che non vorremmo mai vedere, perché fatta di fragilità e imperfezioni. Ci invita a scendere in quel luogo per renderci consapevoli, in primo luogo, di quello che siamo, ma per poi mostrarci quello che lui è, e ciò che noi possiamo diventare nelle sue mani. Egli è il vasaio che rimodella il vaso imperfetto, perché prenda la forma che lui desidera. Non lo butta, come faremmo noi. Lo rimodella, lo prende nelle sue mani ancora una volta!

Allora su questa parola, vogliamo nuovamente “gettare le reti” e ri-partire, proprio dall’esperienza della nostra debolezza, per chiedere umilmente al Signore di riprenderci nelle sue mani e realizzare nella nostra vita ciò che lui stesso ha sognato quando ha posto dentro di noi il prezioso seme della vocazione missionaria.



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