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Nel ricordo del ‘Servo di Dio’ mons. Angelo Frosi

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Quando il 28 giugno 1995 appresi della morte di mons. Frosi, ho pensato: “È morto un Santo! Non ha scritto libri o resoconti pubblici, ma in futuro farà scrivere e parlare tanto di sé”. Così è stato e così è. È possibile conoscere più in dettaglio tutta la sua vita missionaria dalle lettere inviate alla Famiglia dal 1936 al 1995, rese pubbliche nel 2016.

Queste lettere sono la prova della sua bontà d’animo e di uno spirito cristiano fortemente rivolto verso il bene degli altri. In esse si avverte anche la sua grande felicità, nonché una dolce ironia filosofica nel riferire ciò che vede o che accade. Sin dai suoi primi scritti privati, p. Lino (com’era conosciuto dai sambassanesi) descrive con semplicità ed amore tutti i sentimenti che lo hanno spinto a desiderare la vita missionaria e, con gioia ed allegria, i suoi studi e le vacanze estive e invernali tra Cremona, Parma e Ravenna dal 1936 al 1945, in luoghi e casolari alle volte fatiscenti, con intonaci solo esterni e con il riscaldamento a base di stufa e camino. Con grande gioia e felicità raccontava di aver fatto il falegname, di essersi occupato di taglio e fienagione, raccolta di funghi, noci e uva. È stato anche insegnante di catechismo nei paesi vicini.

A fine guerra frequenta il liceo a Parma, descrivendo il caos che regnava in città appena dopo l’Armistizio, ma sempre con note di buon umore. Come quando descrive i quindici giorni di viaggio sulla nave che lo portò da Napoli in America, fra tempeste ed uragani in Atlantico. Aveva ringraziato tantissimo la mamma per quei “bric vunt” che gli aveva portato ed erano stati il suo unico alimento. Dagli Stati Uniti descrive in modo meravigliato tutte le novità trovate: le strade a doppia corsia divise da “un boschetto”; le reti ferroviarie che prima di arrivare nelle città si interravano; i distributori di prodotti alimentari e bevande; la televisione…
Il casolare della missione, composto da una stanza con soprastante fienile, gli era stato messo a disposizione dal Vescovo di Boston, per lui ed un suo compagno. Si trovava in aperta campagna vicino, si fa per dire, al villaggio di Holliston.

Ai genitori riferisce tutti i suoi simpatici incontri con gli abitanti dei paesini e delle parrocchie visitati, abitati da immigranti italiani. Una volta, in un villaggio, confessando una vecchietta siciliana, non capiva una sola parola di quello che diceva, così scrisse a sua mamma che forse avrebbe dovuto studiare anche il dialetto siciliano! In quasi tutte le sue lettere si ricordava di San Bassano e delle caratteristiche di alcuni suoi abitanti che gli ricordavano persone che incontrava (tipico l’esempio delle risposte in latino del sagrestano ortodosso che lo riportavano al sagrestano Botti e alla zia Cecchina, quando cantavano le litanie).

Parlava spesso anche dei vari problemi che doveva affrontare ed il suo totale affidamento alla Provvidenza di Dio, che lo ha sempre assistito. In particolare del seminario che stava sorgendo e che dava ormai ospitalità a circa una quarantina di ragazzi “che hanno sempre una fame da lupo”. Emerge come ha fatto a realizzare tutte le opere ad Holliston, in meno di vent’anni: oltre alla Provvidenza, un’infinità di peregrinazioni in cerca di aiuto presso amici e poi feste e cene a scopo benefico. Dopo certe giornate, scriveva che aveva le scarpe da risuolare.

Nel 1967, papa Paolo VI gli chiede di raggiungere il Brasile, con l’incarico di Amministratore Apostolico Diocesano di Abaetetuba dove, il 1° maggio 1970, diventerà anche Vescovo. Il passaggio dalla missione americana a quella brasiliana, dal punto di vista climatico e ambientale, non è stato traumatico per p. Lino, anzi Lui ringraziava Gesù di avergli finalmente affidato una vera missione, come quella che aveva invidiato al compaesano p. Antonio Aliprandi partito per la Cina.

La Diocesi di Abaetetuba è molto vasta, con villaggi sparsi su una quarantina di isole, raggiungibili solo con battelli e barche. Padre Lino, dopo il suo arrivo, scrive che “per visitare le famiglie di quelle isole ci vogliono almeno due mesi e ovunque si vede tanta povertà e miseria che fa piangere il cuore; lungo i fiumi sorgono piccole capanne costruite su pali per protezione dalle maree, abitate da famiglie numerose con parecchi bambini, se ne vedono cinque o sei ogni finestra, senza contare quelli che sono dinanzi alla porta o su piccole barchette, completamente nudi o vestiti malamente con pochi stracci…”. E non mancava, anche dal Brasile, il collegamento con eventi e persone della sua famiglia o di San Bassano.

Fin dai primi anni del suo vescovato ad Abaetetuba si impegnò tantissimo per migliorare la vita civile e religiosa della sua gente. Con il contributo dei suoi amici americani, di noi sambassanesi e delle Caritas di Cremona e Brescia, riuscì ad aprire nuove scuole elementari (istruendo maestre analfabete); fece costruire un nuovo fabbricato adibito a pronto soccorso, gestito dalla Diocesi; fece restaurare la chiesa Cattedrale ed il piazzale antistante; riuscì a dotare ogni parrocchia di una chiesetta o di una cappella. Costante fu anche il suo impegno per alleviare i problemi abitativi della gente, mediante la costruzione di un nuovo villaggio alla periferia della città, con casette unifamiliari e un centro sociale di accoglienza.

Nei burrascosi anni ’80-‘90 provvidenziali furono i suoi interventi per placare l’odio seminato da propaganda politica contraria alla religione e che voleva stravolgere tutto quanto si era fatto sino ad allora di buono e positivo verso i più poveri. Organizzò alcuni pellegrinaggi rurali diocesani, come segno di appoggio ed incoraggiamento ai contadini ed agricoltori. Si recò presso il governo brasiliano per far revocare l’arresto di tre padri missionari ed alcuni parrocchiani, ordinato dal tribunale militare su istigazione dei latifondisti.
E poi tutti i suoi impegni presi come presidente dei vescovi brasiliani e del Sud-America; i viaggi presso i popoli indigeni del Messico e sulle Ande, quelli in Europa e persino in Sud Africa.

È evidente che questi gravosi impegni, col tempo causarono anche problemi di salute. Sono andato a trovarlo durante un ricovero all’Ospedale Maggiore di Parma. Era in una stanza con altri due pazienti che mi confidarono: “Se tutti i preti fossero così, anch’io andrei in Chiesa”. Risposi: “È il vescovo di una città in Brasile”. E loro: “Impossibile, non è vero, i vescovi non stanno in stanza con la gente comune”.

cr Foto 4Nel maggio 1995, nonostante si sentisse poco bene, partecipò alla Conferenza dei Vescovi Brasiliani a S. Paolo. Durante l’Eucaristia si sentì male. È morto il 28 giugno dopo alcuni giorni di ricovero. Quando ad Abaetetuba si sparse la notizia, ogni giorno in Cattedrale si riunivano tutti i parrocchiani per chiedere a Gesù e alla Madonna la grazia di guarigione. Il giorno dell’arrivo della sua salma all’aeroporto, distante dalla città più di cinque chilometri, migliaia di persone, sotto un sole cocente amazzonico, andarono a piedi a riceverla e la accompagnarono in Cattedrale. La veglia funebre durò tutta notte e il mattino seguente il piazzale della Cattedrale non poteva contenere l’immensa folla. Dopo alcune ore, la salma, accompagnata da quella folla eccezionale, venne portata al cimitero accanto a quella di p. Mario Lanciotti.

Dopo dieci anni, si procedette alla riesumazione e ad una nuova sepoltura in una cappella costruita adiacente alla Cattedrale. L’8 dicembre 2017, mons. Frosi è stato proclamato “Servo di Dio”, primo passaggio verso la beatificazione.



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