Natale: l’umiltà che salva
È una parola, quella del Natale, che emana un fascino misterioso e divino, cui difficilmente ci si può sottrarre. Anche il folclore natalizio ha dimensioni universali e richiama tutti a quel momento centrale della storia dell'umanità in cui Dio si fa uomo per elevare l'uomo alla dignità di figlio di Dio. Per noi cristiani il Natale è l'aprire il cuore con fede e riconoscenza al Verbo di Dio che porta a tutti il dono della pace e della salvezza.
L'Avvento fa rinascere in cuore il desiderio vivo di una povera umanità che a Dio si rivolge e implora con ardore la venuta del Redentore: "Stillate, cieli, dall'alto e voi nubi piovete il Giusto!" o: "Vieni, Signore e non tardare!", "Esulta, Gerusalemme, sfavilla di gioia, perché viene a te il tuo Salvatore!" o anche la sicurezza che scaturisce dalla promessa di Dio: "Oggi saprete che il Signore viene e domani contemplerete la sua gloria!".
Quando la notte di Natale ci si ritrova ad adorare "il Verbo che si è fatto carne", allora il nostro cuore viene inondato dalla luce vera che ci apre alla comunione con Dio e di tutti coloro che ad essa aspirano.
Il Natale è iniziato 2000 anni fa, ma non ha ancora raggiunto tutti i popoli e tutte le culture del "piccolo e grande villaggio" dell'umanità. Cristo è venuto a far risplendere "la gloria di Dio nella nuova umanità unificata dalla sua pace", ma non si è ancora costituita l'unità di una sola famiglia tra gli uomini e Dio. La luce di Betlem brilla ancora in una notte oscura e l'augurio della pace si scontra con la realtà della guerra.
All'indomani del Natale la Chiesa ricorda il martirio di Stefano e, qualche giorno dopo, l'uccisione incredibile dei bambini innocenti: dov'è allora "la gloria di Dio e la pace agli uomini che egli ama?". Non tutti si aprono all'amore di Dio e tanti rifiutano la sua pace. Per questo il Figlio di Dio è entrato nella storia dell'umanità: Egli viene come la luce che illumina le tenebre, ma esse lo rifiutano. A quanti l'accolgono Egli porta la luce e la pace: una luce che si oppone alle tenebre; una pace che è in contrasto col mistero dell'iniquità di coloro che amano il male.
Per questo il Principe della pace diventa "pietra d'inciampo" contro cui essi urtano inesorabilmente e soccombono. Il mistero dell'Incarnazione e il mistero del male sono strettamente collegati. Luce e tenebre si elidono a vicenda. I poveri pastori che vegliavano nella campagna attorno a Betlem accolsero la luce del cielo e con fiducia seguirono la voce dell'angelo a loro rivolta: "Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia".
Pieni di fiducia i pastori dissero tra loro: "Andiamo fino a Betlem, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. E tutti quelli che udivano, si stupivano delle cose che essi dicevano.
Così i Re Magi, partendo dal lontano Oriente, seguirono con la stessa fede la stella meravigliosa e straordinaria. Su di loro quel bambino riversò la sua pace ed essi "provarono una grande gioia". È una pace la sua, che dona e che chiede: chiede la fede e dona la speranza e l'amore, l'umiltà e la purezza, l'impegno a vita per la salvezza del mondo.
Da quel bambino che giace sulla mangiatoia sembra che esca già quella parola: "seguimi!" che rivolgerà da adulto a tante altre persone quando più tardi percorrerà le vie della Palestina, per annunciare a tutti il Regno di Dio. Rivolgerà quella parola a tanti suoi discepoli che l'accoglieranno ed entreranno per sempre a far parte della folla che attornia con fede e amore il suo presepe.
Sentirà quella voce Giovanni e la seguirà senza domandare: dove? e a che scopo? Abbandonerà la barca del padre e andrà dietro al Signore fino al Calvario. Percepirà quell'invito anche il giovane Stefano e seguirà con fedeltà il Signore nonostante l'accecamento della incomprensibile mancanza di fede dei suoi avversari. Arriverà a rendergli testimonianza con le parole e con la vita. Lo seguirà nello spirito dell'amore che combatte il peccato ma ama il peccatore, e per lui intercede davanti a Dio anche in punto di morte.
È una folla sterminata quella che si inginocchia davanti alla grotta di Betlem: c'è Maria e Giuseppe; vi si aggiungono i pastori, i Re Magi, i bambini per lui messi a morte, gli apostoli, Stefano e tutti coloro che lo hanno riconosciuto come loro Signore e Salvatore. Ma di fronte a loro c'è un'altra folla che richiama la notte dell'indurimento del cuore e dell'accecamento della mente dinanzi a Colui che è l'espressione più alta della verità, della bontà, e della salvezza.
Gli scribi che sono in grado di dare informazioni sul tempo e sul luogo in cui il Salvatore del mondo deve nascere, non arriveranno mai a dire: "Andiamo a Betlem, per adorare il neonato Messia!"; il re Erode vede in quel bambino un antagonista e vorrebbe mandarlo a morte.
Di fronte a quel bambino gli spiriti si dividono; Egli diventa segno di contraddizione: è cercato dai pastori, dai Magi e da tutti quei discepoli che si pongono alla sua sequela, ma è rifiutato dagli scribi, da Erode e da tutti coloro che non accolgono la sua presenza. C'è da sottolineare che l'episodio dei Magi ha un profondo significato missionario ed è una solenne dichiarazione di universalismo che richiama l'affermazione conclusiva di tutto il Vangelo: "andate in tutto il mondo e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19), con la differenza che nell'episodio dei Magi sono le genti che, guidate dalla stella luminosa, arrivano da lontano a Cristo, e invece, alla fine del Vangelo, sono i discepoli di Cristo che, ripieni di luce e di grazia divina, sono inviati al mondo intero per portare a tutti la Buona Novella dell'amore di Dio.
Tra questi discepoli ci siamo anche noi. Il Natale ci apre il cuore alla luce, all'amore e alla salvezza, ma diventa anche un invito ad andare e ad illuminare, ad amare, a salvare con la forza di Dio che abbiamo nel cuore.