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Missione è aprire strade nuove

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Il tempo del benessere è passato in fretta e si è portato via anche la facilità con cui avevamo imparato a fare la carità alle missioni. Il sopravvento della crisi economica è tornato a farci riscoprire che offerte e carità restano un sacrificio personale. 

Ma non sarà la riduzione del benessere a decretare la fine della missione. Essa è fuoco, è sempre pronta ad aprire strade nuove, anche quelle del martirio.

Con p. Paggi nella foresta del Bengala

Recentemente, ad Aleppo, durante un attacco aereo, sono state uccise 27 creature, tra personale di servizio e degenti. Il dottor Haten ha lanciato un appello: “Abbiamo bisogno che il mondo ci guardi”. Lo stesso papa Francesco si fa portavoce del silenzio dei martiri di tutto il mondo e rassicura: “Fare un’opera di misericordia e celebrare il giubileo sono la stessa cosa”. In Italia si diffondono forme di missionarietà nuova. Tra i laici fermenta il dovere di dedicarsi alla cura, al conforto, all’assistenza di chi è costretto a vivere in condizioni difficili…

Lo ricorda anche p. Luigi Paggi che, in una lettera, racconta con profonda gratitudine il viaggio in Bangladesh di alcuni amici della Valtellina. La spedizione si è prolungata per un mese e mezzo ed era  “capitanata” da Marco Pedeferri, pediatra in pensione, di Sondrio. Con lui c’era sua moglie, Adriana, cardiologa di Tresivio, e Miria Bonomi, anche lei di Tresivio e veterana del Bangladesh. Lei ha accompagnato i volontari fino alla missione di p. Paggi, nella città di Khulna, in prossimità della foresta del Bengala, al confine con l’India.

Le ragazze “munda” e i matrimoni forzati

Marco e Adriana hanno prestato i loro preziosi servizi in un lebbrosario gestito dalle suore missionarie del Pime. E solo il Signore conosce la gratuità con cui operano i nostri medici in quel mare di bisogni e malattie. Al loro prezioso servizio si è aggiunto anche quello di Emanuela Geromini, fisioterapista di Chiavenna, che ha diviso il tempo tra l’esercizio della professione medica e l’educazione di 20 “selvaggette” (ragazze) della tribù Munda. P. Paggi le ospita alla missione per sottrarle a un matrimonio forzato e prematuro, che potrebbe mettere a repentaglio la loro giovane vita.

Ai volontari della Valtellina, si è unito anche il pittore comasco Vittorio Mottin. Egli si è sbizzarrito a decorare, con le sue pittoriche creazioni, i muri delle casupole in cui le 20 ragazze sono ospiti.

Nessuno è grande abbastanza…

Nel suo resoconto, p. Paggi, ricorda altre presenze di questa curiosa spedizione. “Senza nessuna pretesa artistica, Miria e Daniela Vacchi, volontaria di Reggio Emilia, hanno preso parte alla tinteggiatura dei muri delle casupole della missione e si sono cimentate nell’insegnamento dell’inglese ad alcune di quelle ‘selvaggette’, alle prime armi con questa lingua”.

P. Paggi conclude il suo messaggio, scrivendo: “I volontari sono stati accolti con entusiasmo, sono una gioia per la gente della missione e sono stati invitati anche a tornare”.

“Marco, Adriana, Miria, Daniela, Emanuela e Vittorio ritorneranno senz’altro”, perché si sono resi conto che nessuno di noi è grande abbastanza per questa sublime missione.



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