Skip to main content

Missionario dei tre mondi, Un saveriano... che sa di vin cotto

Condividi su

Sono un marchigiano di Serrapetrona, sulle colline maceratesi, terra di contadini e grandi lavoratori. Da piccolo, mia madre mi lavò con il vin cotto. Nonno Pietro aveva il segreto di quella vernaccia che nel tempo è pentato vino doc e ha reso famoso il mio paesello.

Al battesimo, zio Nazzareno profetizzò che sarei andato lontano e che avrei fatto tanta strada. Ma un disturbo ai piedi non mi ha mai permesso di camminare molto. Tanto che mamma mi aveva portato dalla vecchia guaritrice la Cotica, alle cui cure era ricorso anche... il duce!

Tra gli "uomini della plastica"

Il primo incontro con l’ideale missionario lo ebbi con p. Alessandro Patacconi, marchigiano. Ho fatto le medie ad Ancona, nella villa dove aveva pernottato Napoleone. Anch’io mi sono affacciato da quelle finestre. Lui, guardando verso il mare, pensava alle conquiste per allargare l’impero. Io, vedendo le navi, pensavo al giorno in cui sarei salpato per diffondere il regno di Dio.

La mia prima missione è stata l’Indonesia, nella regione di Pasaman: dodici anni, i più belli della mia vita. Ero tra gli ultimi della terra, gente "deportata" in foresta dalle grandi città di Giava. Li chiamavano "uomini della plastica", perché potevano contare solo su teli di plastica come rifugio notturno. A Pasaman, in mezzo a foreste immense, il governo regalava loro un pezzo di terra e un augurio: "Ora state in piedi sulle vostre gambe!". Un atto di generosità che non prevedeva cibo, sanità, scuole, strade, elettricità. Ho predicato la speranza e ho visto nascere e crescere una comunità fiorente che, nella fede in Cristo, ha ripreso coraggio e dignità.

Nella "tomba dei bianchi"

Sfrattato dall’Indonesia per ostracismo islamico, sono poi approdato in Sardegna dove, per cinque anni, ho conosciuto l’ospitalità, la fede, la sensibilità e l’amore per le missioni dei sardi.

Poi sono ripartito per la missione, questa volta in Africa, in Sierra Leone, il Paese chiamato "la tomba dei bianchi" per il clima e le malattie. In Sierra Leone ho lavorato 15 anni, dieci dei quali in situazione di guerra. Ho visto il macabro gioco della desolazione e della crudeltà umana con i bambini soldato in prima fila, mutilazioni barbare e tanti morti.

In quegli anni di guerra, i missionari hanno provveduto alle necessità dei feriti e degli affamati. Restavamo sul campo, ma non più sul fronte. Eppure, la Parola di Dio correva e spaziava veloce, al seguito delle migliaia di sfollati che erano costretti a trovare scampo da un villaggio all’altro.

Dopo una parentesi in Camerun, da vari anni sono nuovamente in Sardegna.

Ma sento che ripartirò, perché il dna del missionario è andare, cercare la gente, incontrare realtà e meraviglie nuove.



Scarica questa edizione in formato PDF

Dimensione 2479.94 KB

Gentile lettore,
Continueremo a fare tutto per portarvi sempre notizie d'attualità, testimonianze e riflessioni dalle nostre missioni.
Grazie per sostenere il nostro Giornale.


Altri articoli

Edizione di Giugno 2010

Le sfide dei cinque continenti, Bambini di Salerno e la mostra

Mercoledì 17 marzo, noi alunni della 5ª elementare del "Tasso" di Salerno, abbiamo visitato la mostra allestita dai missionari saveriani, "Un mondo...
Edizione di Novembre 2009

Ancona: un campo speciale

Mi aspettavo di vivere un campo estivo come gli altri: semplicemente una bella esperienza. Invece ho vissuto un vero "tempo di grazia". S...
Edizione di Febbraio 2008

A Gallico dieci coppie in festa

Nella festa della Sacra Famiglia, è stata davvero appropriata la serata culturale al parco della mondialità, organizzata proprio per onorare la ric...
Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito