Lo stesso cuore missionario, Riflessioni ad alta voce
Mi voglio sfogare un po’ con i lettori di “Missionari Saveriani” e condividere con loro le mie riflessioni e i miei sentimenti. Mi fa piacere raccontare ciò che sto vivendo in questo periodo del tutto speciale per un missionario come me, che ha passato metà della sua vita in Africa, nelle missioni del Congo.
Gli ultimi hanni ho lavorato nel mondo della comunicazione e dell’informazione, specialmente con la “Radio Maria Bukavu”.
Cambiamento improvviso
Appena rientrato in Italia dalla missione, ho trascorso alcuni mesi a Parma, nella casa madre dei saveriani. I superiori mi hanno chiesto di stare a servizio dei confratelli malati. A maggio scorso, pensavo di nuovo al Congo e mi preparavo a partire per riprendere il mio lavoro alla radio. Invece, sono stato chiamato improvvisamente al capezzale di mio padre, anziano e malato.
In un batter d’occhio tutto è cambiato - o meglio, ho dovuto cambiare - per poter assistere i miei anziani genitori. Come missionario, sono abituato a essere sempre in movimento, attorniato da tanta gente per programmare e lavorare, incontrare e discutere, insegnare e annunciare attività e programmi. È difficile, tutto d’un tratto, dover mettere un freno al movimento e dovermi occupare di altri doveri importanti.
Amore di figli, amore di Dio
Il missionario, pur incarnandosi pienamente nella cultura che lo accoglie, non perde mai le sue radici; anzi, guai se le perde! Non sarebbe più se stesso. Per questo, il missionario deve dedicarsi con amore sconfinato alla sua nuova famiglia e alla nazione che lo ospita, fatta di persone bisognose del Cristo Risorto. Vorrei chiamarlo “l’affetto della missione”. Ma anche inarcandosi pienamente nella nuova cultura, l’amore alla sua famiglia d’origine e ai suoi genitori resta per lui un dovere prioritario e particolare.
Con tutta franchezza, devo dire che mi fa sempre pensare la parola di Gesù che afferma: “Chi ama il padre, la madre, i fratelli più di me, non è degno di me”. Come dire, che quel dovere di amore filiale verso i propri genitori - importante e necessario - ha riferimenti e limiti che si rapportano solo all’amore di Dio, un amore che richiede di primeggiare nella nostra vita. Dicendoci questo, Gesù vuole che anche il nostro dovere filiale verso i genitori abbia come riferimento l’amore a Dio, che rimane sempre il primo e più grande comandamento.
Più missionario che mai
In questo momento, rivedo la missione con altro occhio. Mi dico che in fin dei conti la mia vocazione missionaria è sempre la stessa, ma continua il suo cammino su un binario diverso. È come una macchina in corsa, che pur prendendo un cammino secondario, raggiunge il suo scopo e si realizza in modo diverso. Il cuore del missionario continua a battere con il ritmo di sempre, tutto proteso ad annunciare l’amore di Dio in un mondo simile a quello di ieri: il mondo della sofferenza.
Con il passare dei giorni, mi rendo conto che questa mia vocazione missionaria sta toccando il suo culmine proprio con il servizio di chi soffre. Infatti, il missionario, pur sentendo la ferita del distacco dalla vita in missione, si ritrova a essere più missionario che mai. Accanto ai genitori malati o invecchiati, egli ritrova il suo Crocifisso ricevuto il giorno della prima partenza per la missione. Il Crocifisso è come il libro della vita. Lì tutto è stato scritto. Lì si possono leggere anche le contraddizioni che ci portiamo dentro e che tante volte ci fanno soffrire.
Un giorno parlavo con una signora. A un certo punto, mi ha chiesto: “Padre Luigi, quando riparti per il Congo? Non vai più in missione?”. Rimasi un attimo in silenzio, poi le risposi: “La mia missione è sempre la stessa. Ha solo cambiato geografia...”. Non so se la signora abbia capito fino in fondo il mio stato d’animo.
Ma io ne sono profondamente convinto: là dove la Provvidenza ci vuole, proprio là è il nostro campo di missione, per annunciare il regno di Dio e fare del mondo un’unica famiglia.