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Liberiamo la terra dalle mine

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Il titolo di "Cavaliere della Repubblica" a una donna coraggiosa.

Nata nel 1992 per mettere fine alla tragedia umanitaria causata dalle mine, la Campagna per la Messa al Bando delle Mine è un movimento che conta ormai più di 1.000 organismi in 60 Paesi in tutto il mondo. La campagna ha saputo creare ed esprimere un’ondata di impegno popolare senza precedenti, imponendo sullo scenario politico internazionale la volontà della società civile impegnata per la pace e la sicurezza dei popoli

La Campagna Italiana, sviluppatasi nel 1993, quando l’Italia risultava ancora uno dei tre maggiori produttori ed esportatori di mine terrestri nel mondo, coinvolge numerosi organismi di volontariato, enti locali, gruppi, scuole, sindacati, parrocchie. Da allora la Campagna ha lavorato su più fronti per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni attraverso l’organizzazione di giornate nazionali, l’educazione alla pace nelle scuole e la raccolta di oltre 300.000 firme, fino all’approvazione della legge di messa al bando dell’ottobre 1997 ed alla ratifica italiana del Trattato di Ottawa dell’aprile 1999.

La Campagna italiana ha lanciato, nel luglio 1998, un’azione di informazione sugli effetti delle mine terrestri in Afghanistan e di raccolta fondi a sostegno dei programmi di sminamento condotti dalle associazioni afghane MCPA e OMAR. L’iniziativa si chiama "Afghanistan metro per metro". Con questa iniziativa vogliamo dimostrare che sminare si può, in tempi ragionevolmente rapidi e con costi sostenibili. Molti gruppi, scuole e parrocchie si sono attivate e la Campagna Italiana ha potuto investire nella bonifica della terra afghana più di 250 milioni di lire. Poca cosa, è vero; ma un gesto generoso che esprime la volontà di aiutare coloro che lavorano per la pace e la sicurezza della gente. C’è anche un "puzzle" che visualizza il contributo allo "sminamento metro x metro". Può essere acquistato presso la Libreria dei Popoli dei Saveriani di Brescia (€ 5,16).

Perché l’Afghanistan?

L’Afghanistan è uno dei primi tre Paesi più fortemente minati, dove è disseminato fin dalle precedenti guerre un numero enorme di mine terrestri e di ordigni inesplosi. Più di 2.000 villaggi sono contaminati; le mine sono disseminate nei campi, nei canali, nei pascoli, nelle zone abitate e lungo le strade. Si stima che in media ogni giorno questi orribili ordigni abbiano ucciso e mutilato 12 persone, in gran parte civili. La presenza delle mine ha costituito un gravissimo ostacolo allo sviluppo economico e sociale di questo Paese ed impedisce il rientro di milioni di profughi, rifugiati e sfollati che vorrebbero tornare nelle loro terre, riparare le proprie case, ricostruire il Paese devastato, vivere finalmente in pace.

Da nove anni varie agenzie hanno lavorato costantemente per preparare una sorta di "catasto dei campi minati": identificare, recintare, numerare e infine bonificare le aree minate. Lo sminamento manuale, con l’ausilio di cani addestrati appositamente, è il sistema più adatto e sicuro nella bonifica di terreni coltivati e da pascolo. Il programma di sminamento afghano è stato gestito interamente da personale locale, con più di 4.000 afghani coinvolti in questa attività paziente e rischiosa. Molte aree "ad alta priorità" – cioè indispensabili per la sopravvivenza della popolazione – sono state bonificate e rese sicure.

Con quest’ultima guerra – iniziata come pretesto per sconfiggere il terrorismo internazionale capitanato da Bin Laben – tutto è ritornato al punto zero. I bombardamenti a tappeto, il lancio di missili, la disseminazione delle bombe a grappolo hanno reso inutile tutto il lavoro, faticoso e costoso, fatto in tanti anni. Si dovrà ricominciare tutto da capo.

lume L’operaia "Cavaliere"

Franca Faita, l’operaia bresciana che portò in Italia il primo incontro internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo, ha ricevuto lo scorso anno il prestigioso titolo di Cavaliere della Repubblica dal Presidente Ciampi. La storia di Franca si incrocia, quando aveva diciassette anni, con la storia della Valsella, l’azienda di Castenedolo (BS), che produceva allora televisori e mobili in plastica. Poi la richiesta cala di botto e gli operai si ritrovano a fabbricare mine. "Può sembrare incredibile" dice la signora Franca, "ma non sapevamo cosa stavamo costruendo".

Nella Valsella si costruivano ordigni di guerra e gli operai all’epoca ignoravano cosa nasceva dalle loro mani: "Per difendere il territorio" così giustificavano le commesse; Franca e le sue compagne restavano all’oscuro di quale fosse il reale utilizzo delle loro "creature". Lo seppero non dai loro colleghi, ma dal fondatore di Emergency. "Fu l’incontro con Gino Strada ad aprirci gli occhi" rabbrividisce ancora Franca Faita mentre ricorda quel momento. Fu allora che lei e le sue colleghe capirono che era il momento di iniziare a lottare.

Il primo Convegno Internazionale ottenuto in Italia per la messa al bando delle mine antiuomo si svolse proprio a Brescia nel settembre del 1994. A quell’incontro, fortemente voluto dal saveriano p. Marcello Storgato, partecipano anche 5 operaie della Valsella: Chiara Aurora, Maria Delli Bovi, Agnese Zamboni, Ferdi Parolini e Franca Faita. La preoccupazione dei relatori internazionali si quieta quando queste si presentano con uno striscione e la domanda più lecita del mondo: "Perché per lavorare e vivere dobbiamo costruire mine che uccidono?". Con queste parole scritte a caratteri cubitali accompagnano cinquemila persone in una lunga marcia di protesta che si snoda da Brescia a Castenedolo.

Ma come reagiscono i vertici della Valsella e come presero l’affronto di queste coraggiose operaie? "Non me ne hanno risparmiata una" dice Franca. Ora, a distanza di anni, è arrivato il momento della rivalsa, se così si può dire. Franca Faita, sostenuta e aiutata da p.Marcello e dalle sue colleghe, ha vinto un’importante battaglia contro la produzione di mine antiuomo: non solo è riuscita a far riconvertire la Valsella da militare a civile (la fabbrica oggi, con una nuova proprietà e una diversa direzione, costruisce sofisticati strumenti di ingegneria), ma è stata nominata Cavaliere dello Stato dal Presidente Ciampi. Franca ricorda i momenti difficili della loro battaglia e l’incontro a Ginevra con Kher Man So, un bambino della Cambogia che le chiese di non costruire più mine. Sopra il suo letto questa coraggiosa bresciana tiene la collana che il bimbo le regalò in occasione del loro incontro.

Franca ricorda gli incontri nelle scuole per sensibilizzare i bambini, i giochi organizzati allo stesso scopo nella piazza di Castenedolo; ricorda l’impegno e il coraggio del sindaco Luigi Frusca e della sua vice Santina Bianchini, e ancora le offese subite, le minacce, i ripensamenti. Quante volte ha pensato di mollare, quante volte ha dubitato di quello che stava facendo. Ma alla fine, con l’approvazione nel 1997 della legge 374, la sua battaglia è stata vinta. Oggi Franca sta lavorando per fermare l’espansione della Sei-Misar, una fabbrica sorta in Sardegna – con proprietà italiana, francese e inglese – che sta progettando la costruzione di una nuova generazione di mine di piccola e media grandezza. La cavaliera, recentemente, ha inviato un messaggio ai lavoratori e alle lavoratrici di quella fabbrica perché prendano coscienza del pericolo, mondiale, di cui sono partecipi.

Dove si trova tutto questo coraggio e qual’è il primo passo da fare per raggiungere un traguardo così importante?

"Non bisogna essere egoisti", spiega Franca "ci si deve accontentare di ciò che si ha, questo è il primo passo".

La battaglia però non finisce qui. "Abbiamo seminato il mondo, basti pensare che la Valsella ha prodotto circa 30 milioni di mine, e solo mezzo milione sono state trattenute dall’esercito. Ora bisogna innescare il processo inverso".

Il prossimo obiettivo è incrementare i fondi per lo sminamento. Per ora l’organizzazione può contare su 29 miliardi: i territori sono tanti e i fondi decisamente insufficienti.

Bisogna parlarne, sensibilizzare la gente; la battaglia più dura è combattere l’ignoranza: di chi non sa o non vuole vedere.



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