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Angelina e tutte quelle come lei

Nelle ultime settimane della mia permanenza in Burundi ho avuto l’occasione d’imbattermi in una testimonianza di quelle forti, che possono dare speranza a chiunque si impegna per il bene. È Angelina, una donna burundese di 49 anni. Abita nella provincia "rurale" di Bujumbura, poco lontano dalla capitale, in una zona dove la guerra ha infierito in modo particolarmente drammatico.

Finalmente se ne parla

Una donna che porta in sé le ferite materiali e morali del doloroso periodo che va dall’indipendenza a oggi. Madre di sette figli, vedova dal 1992, quando il marito è stato assassinato, dal 1993 al 2000 la sua vita è stata una continua fuga. Ha conosciuto le sofferenze e la fame nei campi di raccolta, o meglio di concentramento. Ha visto da vicino la morte.

Oggi, a guerra quasi finita, mentre la nazione sta lentamente rialzandosi dalle sue rovine, questa donna rimane come una testimone della forza di molte altre donne e della loro capacità di ricostruzione del Paese. Dopo che per tanti anni il discorso è stato coperto da un pesante tabù, oggi si comincia a parlare apertamente delle violenze sessuali che molte donne hanno subito da parte dei militari degli opposti schieramenti.

"Humuriza, dare coraggio"

Angelina ha visto la sofferenza di tante donne, ma non ha girato lo sguardo, non si è lasciata intimidire. Ancora in piena guerra, ha vinto la vergogna e la paura. Non si è limitata a soffrire tacendo, per coprire pudicamente una ferita difficile da mostrare, ma ha pensato a dare una mano a quelle donne che soffrivano e si chiudevano nel silenzio e nella vergogna.

In un Paese, segnato ancora da una cultura patriarcale e maschilista, in cui l’impunità per questi delitti è tanto atavica quanto ovvia, Angelina ha fondato un’associazione e l’ha chiamata: "Humuriza". Il nome è già un programma. Vuol dire "consolare" e "dare coraggio". Scopo dell'associazione è alleviare le ferite fisiche e morali delle vittime della violenza e difenderle chiedendo giustizia.

A faccia alta, perché si sappia

In un’intervista che circola in città e che ho potuto leggere, Angelina racconta che, a partire dal 1995, insieme alle prime compagne, vittime anch’esse delle stesse violenze, ha cominciato a cercare le donne che si nascondevano e che non osavano presentarsi più in una società che, in ogni caso, le avrebbe colpevolizzate. Le curava con i mezzi della medicina naturale locale (durante la guerra e ancora oggi, le medicine costano una fortuna!) e soprattutto le rincuorava ridando loro dignità.

Non ha avuto paura di chiedere udienza alle alte gerarchie militari per denunciare i soprusi, le ruberie e soprattutto le violenze che le donne hanno subito in questi anni. Angelina e la sua associazione non chiedono vendetta, ma solo che si sappia e si parli della grande sofferenza che le donne, insieme ai bambini e ai vecchi, hanno dovuto sopportare in questi lunghi anni di guerra.

Racconta che quello che più le è costato è stato affrontare gli sguardi di quegli uomini che finivano sempre per essere giudici ipocriti della moralità femminile. Ricorda un amministratore che, alla denuncia del comportamento dei combattenti, ha risposto che tutto questo "in fin dei conti era cosa normale" e che non c’era niente da fare; che queste cose "non sono cose da pulgare e che era meglio non parlarne proprio mai".

Tante donne così!

Leggendo questa storia, non ho potuto sfuggire di pensare al buon Samaritano, la parabola della solidarietà cristiana inaugurata dal Figlio di Dio fatto uomo. La nostra società (africana e non) ha bisogno ancora di tante donne come Angelina per sostenere quelli che soffrono ingiustamente e che rischiano di non avere più il coraggio di dire che stanno male!

Angelina è una figura che rilancia la speranza, mentre sembra che il bene faccia tanta fatica ad affermarsi, mentre il male si fa subito propaganda. Un segno pasquale, per un mondo che sta esaurendo la riserva della speranza. Nel mese di maggio, che ci ricorda un’altra Donna coraggiosa, che ha sfidato i potenti ed è stata accanto a suo Figlio innocente e crocifisso. La nostra speranza è che nel mondo sorgano tante altre donne come Angelina, come Maria. Saranno il segno che il regno di Dio continua ancora a crescere e che la Pasqua non ha ancora esaurito la sua forza rinnovatrice.



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