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La Testimonianza: Il vangelo solidale dei poveri

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Padre Gargano - noto come "padre Giuà" - è un saveriano originario di Salerno. Da vari anni è missionario in Bangladesh, incaricato dell'animazione missionaria tra i giovani. Vive a Dhaka, l'immensa capitale con numerosi quartieri di baraccati, che spesso visita. È il suo modo per annunciare il vangelo.

Sono convinto di una cosa: "quando per strada la gente semplice e povera ti saluta e ti sorride, allora la città in cui vivi inizia a diventare la tua famiglia".

Da alcuni mesi ho lanciato ai giovani di Dhaka la proposta di portare del tè a coloro che dormono per strada in questo periodo di freddo. I giovani, entusiasti della proposta, si sono resi disponibili. Insieme, con i nostri thermos in mano, iniziamo il nostro pellegrinare. È una giornata speciale.

Partiamo sempre dalla grande rotonda: lì incontriamo le prime persone. Ci invitano a sederci e iniziamo il dialogo della vita: come stanno, cosa fanno, e altre domande semplici. Ci muoviamo più avanti: altre quattro persone che lavorano tutto il giorno spostando terra con rudimentali carretti tirati a mano. Mi stendono a terra la loro coperta per sedermi e iniziamo a parlare.

Ascoltiamo le loro storie

Il nostro vero obiettivo non è solo offrire una tazza di tè caldo, ma incontrare la gente, ascoltare le loro storie.

Il pellegrinare continua. Mentre diamo il tè, un giovane mi dice che anche lui desidera unirsi al nostro gruppo. Gli chiedo se è cristiano, visto che mi aveva chiamato "father - padre". Risponde: "No, sono hindu; vedendovi, mi è venuta voglia di seguirvi". L'ho chiamato: "il miracolo della testimonianza, del vangelo vivente".

Andando avanti, continuiamo a offrire il tè. Un ragazzo ci chiede di ascoltare una preghiera. Inizia con l'invocazione a Dio Onnipotente. Gli chiedo di quale religione è. Mi dice che è musulmano. Al termine, chiede di dire un'altra preghiera: è un'invocazione per la pace nel mondo, ai nostri giorni... Poi ci confida che lui si drogava; da quattro mesi ha finito il programma di riabilitazione e adesso lavora in un negozio.

Andiamo avanti. Incontriamo di nuovo la coppia con un bambino nel mezzo: come Maria, Giuseppe e il Bambino. Oggi il papà ci ha rallegrato con il suo flauto: una melodia che penetra nelle ossa e commuove.

Verso la fine, incontriamo la banda dei bambini: appena abbiamo chiesto loro se volevano il tè, si sono lanciati a capofitto. Poi mi hanno detto i loro nomi: Sumon, Sahin, Ridoe... E mi hanno chiesto se conoscevo "Brother Lucio", un fratello del Pime che con alcuni volontari organizza la scuola per strada.

"La mia città è la mia famiglia"

Il nostro gruppo, formato da giovani del Bangladesh, continua il suo impegno accanto a questi nostri fratelli e sorelle. Ci siamo dati una sorte di slogan: "amar shohor amar poribar - la mia città è la mia famiglia". Usciamo due volte la settimana. Attraverso il tè, stiamo riuscendo a capire anche la vita delle persone, i loro bisogni e le loro difficoltà. Scendiamo veramente per strada e andiamo incontro agli altri con tutta la nostra naturalezza di esseri umani, nella gioia di quel Cristo che è venuto a piantare la sua tenda in mezzo a noi.

Credetemi: sono senza parole; è un'esperienza unica. Anche questa sera - come le tante altre sere - mi porto dentro gli sguardi profondi e belli della tanta gente che ho incontrato.

Vi lascio con un altro racconto: un giovane, che chiamo "il guru", mi ha domandato: "Perché tu mi ami così tanto?". Gli ho risposto: "Perché gli altri non ti amano". Lui mi guarda ed esclama: "Manush manushe - gli uomini sono uomini". 

Che altro dire? Una grande lezione di vita! Pace a tutti.



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