La pace come cammino di speranza
Dal messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace (1° gennaio)
La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale. Intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze. Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, la speranza nel futuro.
La guerra, lo sappiamo, comincia spesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo, dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo.
La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo. La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione. In questo senso, anche la dissuasione nucleare non può che creare una sicurezza illusoria. Come, allora, costruire un cammino di pace e di riconoscimento reciproco?
I sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945. La memoria è l’orizzonte della speranza. Aprire e tracciare un cammino di pace è una sfida, tanto più complessa in quanto gli interessi in gioco sono molteplici e contradditori.
La pace, in effetti, si attinge nel profondo del cuore umano e la volontà politica va sempre rinvigorita. Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni.
La pace è un edificio da costruirsi continuamente, un cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune. Questo cammino di riconciliazione ci chiama a trovare nel profondo del nostro cuore la forza del perdono e la capacità di riconoscerci come fratelli e sorelle.
Di fronte alle conseguenze della nostra ostilità verso gli altri, del mancato rispetto della casa comune e dello sfruttamento abusivo delle risorse naturali - viste come strumenti utili unicamente per il profitto di oggi - abbiamo bisogno di una conversione ecologica. Il recente Sinodo sull’Amazzonia ci spinge a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra le comunità e la terra, tra il presente e la memoria, tra le esperienze e le speranze.
Non si ottiene la pace se non la si spera. Si tratta prima di tutto di credere nella possibilità della pace, di credere che l’altro ha il nostro stesso bisogno di pace. Per i discepoli di Cristo, questo cammino è sostenuto anche dal sacramento della Riconciliazione, che ci chiede di deporre ogni violenza nei pensieri, nelle parole e nelle opere, sia verso il prossimo sia verso il creato.