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La missione è rapporto umano

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Quando sentiamo parlare di "missione" o "missionario", quasi istintivamente molti di noi associano queste parole a qualche progetto. Sono stato in Colombia dieci anni e non ho costruito materialmente niente. Non per questo mi sento meno missionario. E non sono qui in Italia a chiedere soldi per un progetto particolare, ma per un motivo importante, altrimenti sarei rimasto in Colombia. Vorrei che lo scopriste.

L'accoglienza di un popolo

Prima di tutto, leviamoci dalla testa che missione sia uguale a "soldi per il progresso". Sarebbe come dire che la salvezza è portata dai soldi. Se questo fosse vero, non sarebbe una novità e non avremmo bisogno di missionari: la televisione e il sistema economico attuale lo affermano a squarciagola. Non voglio dire che sia stato inutile finanziare i progetti, ma questi non sono la cosa più importante.

Quando mi hanno mandato a Buenaventura, ho promesso a me stesso, come primo impegno, di conoscere la gente andando a visitarla nelle loro case. Sono rimasto colpito dall'accoglienza che ho ricevuto. Credo che la ricchezza del popolo colombiano sia proprio l'accoglienza. E mi irrito quando sento che in Italia siamo chiusi, tanto da trattare l'immigrato come una persona "illegale" o come un "criminale". La Bibbia nella sua professione di fede dice: "Ricordati che anche tu eri straniero in Egitto".

Mettiamoci in ascolto...

Alcuni mi domandavano se avessi nostalgia dell'Italia; altri perché avevo lasciato la mia famiglia. Io avevo una sola risposta: l'ho fatto per Cristo. Voglio condividere quello che Dio ha fatto in me: incontrarsi con Lui è la cosa più bella che possa succedere a una persona.

Incontrando la gente, mi impressionava la loro sete di comunicazione. E il mio gesto di amore più grande non era tanto quello di dare consigli, ma di ascoltare. Ricordo tanti giovani che si lamentavano dicendo, "mio padre non mi ascolta!".

Mi sentivo in colpa quando, dopo la Messa, tanti chiedevano di parlare con me, ma io dovevo dire loro che non potevo fermarmi perché avevo un'altra Messa in un'altra comunità. Mi domandavo se Gesù avrebbe detto la stessa cosa. Non sarà forse il caso di dire meno Messe e avere più rapporti personali? Noi sacerdoti ci giustifichiamo dicendo che la gente vuole le Messe... Ma è proprio questo che la gente vuole?

La cosa più pratica

Purtroppo anche il prete oggi è tanto indaffarato da non avere il tempo per ascoltare, per dare l'immagine di quel Dio che ascolta il suo popolo. Il pericolo di un sacerdote credo sia quello di stare seduto in un ufficio, non per colpa sua ma per una certa burocrazia.

Anthony de Mello, in un suo libro, scrive: "Immaginate che qualcuno ci mostri la strada attraverso la quale potremmo giungere ad amarci davvero gli uni gli altri, essere in pace, immersi nell'amore. Riuscite a pensare a qualcosa di più pratico di tutto ciò? E invece c'è gente che ritiene che i grandi affari siano più pratici, che la politica sia più pratica, che la scienza sia più pratica... Quale sarà il vantaggio materiale di mandare un uomo sulla luna, quando noi non riusciamo a vivere sulla terra?".

Non deleghiamo ad altri

Ecco, la missione è la cosa più pratica: il rapporto con le persone. E il rapporto che ci fa crescere e maturare meglio è quello offerto da Gesù. Non è sufficiente scoprire che Dio ci ama. Da questa scoperta anche noi dobbiamo diventare capaci di amare come Dio ama, con la passione di Dio, fino alla croce.

Non dite più "abbiamo bisogno di missionari qui". Tutti siamo missionari!

Non deleghiamo o aspettiamo che altri facciano il lavoro per te. Non dobbiamo essere solo consumatori dell'amore di Dio, ma diventare noi stessi amanti come Dio, cioè "missionari".



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