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La missione con il camice bianco, In Bangladesh

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Lui stesso ammette che preferisce fare un paio di operazioni piuttosto che scrivere. Ma questo racconto dell'esperienza medica del saveriano di Moimacco è davvero bella.

Sono andato in Bangladesh come missionario medico per tentare di testimoniare il regno di Dio attraverso l'aiuto ai malati, soprattutto ai malati poveri: quelli che non possono pagare per la loro salute, quelli che devono tenersi il male perché non hanno nemmeno due soldi per procurarsi degli antidolorifici.

Ci sono andato per mettere in pratica il "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Ma ho scoperto, con il trascorrere degli anni, che quanto ricevo è davvero molto di più di quanto io riesca a dare.

Tre esperienze diverse

2009 1 modonutti1All'inizio sono stato all'ospedale "Fatima" di Jessore che, grazie ai dottori saveriani Remo Bucari e Gildo Coperchio, è diventato un "fiore all'occhiello" della diocesi di Khulna. Poi per cinque anni ho avuto la possibilità di collaborare all'ospedale "Kumudini", un'istituzione hindu creata da un bengalese per i poveri del Bangladesh. Un raro esempio di aiuto per chi ha meno, che si è realizzato al di fuori dell'esperienza cristiana. Fianco a fianco lavorano e sono curati hindu, musulmani, buddhisti e cristiani.

Dal 2004 ho lavorato come missionario nell'ospedale cattolico "S. Vincent" di Dianjpur, al nord del Bangladesh. Qui vivono molti aborigeni: sono varie minoranze etniche, gradualmente spinte ai margini dalla maggioranza bengalese. Molti aborigeni sono diventati cristiani, grazie all'attività dei missionari del Pime (Milano). L'ospedale "S. Vincent", con 120 posti letto, è aperto a tutti, ma soprattutto ai cristiani e ai poveri che hanno bisogno. Più della metà del lavoro è un servizio di tipo ostetrico, con oltre duemila parti l'anno.

Il valore della gratuità

Aiutare chi soffre è quello che cerco di fare. I malati poveri soprattutto, e di poveri in Bangladesh ce ne sono davvero tanti. Più passano gli anni e più mi convinco che è un privilegio poter fare qualcosa per chi non è in grado di sdebitarsi.

In Bangladesh - e non solo! - il malato non è una "persona che soffre", ma piuttosto un "pollo da spennare". Non so se l'immagine rende l'idea... Il malato è disposto ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di guarire. Chi può dargli una mano è pronto a farlo, ma solo in cambio di un compenso, senza considerare le sue possibilità economiche.

Naturalmente, alcuni casi di profonda umanità si incontrano anche tra i medici del Bangladesh. Anche tra i non cristiani ci sono persone buone e sensibili ai bisogni altrui. Il messaggio della gratuità fa fatica a passare, ma alla lunga filtra, come tutte le cose importanti. E in Bangladesh, paese a maggioranza musulmana, la dimensione missionaria può essere vissuta solo a livello di testimonianza silenziosa, di umile lavoro per il regno di Dio.

Il nostro aiuto, grazie a voi

La povertà è una costante sempre presente nell'evoluzione della malattia in Bangladesh. Infatti, molti malati vanno dal medico quando non ne possono più. E purtroppo questo a volte coincide con l'impossibilità di poter fare qualcosa per risolvere le situazioni più gravi. Non è solo questione di ignoranza. Nella stragrande maggioranza dei casi i pazienti non vanno prima dal medico perché non possiedono i mezzi economici, e solo quando la condizione diventa insopportabile si decidono a fare il passo.

È in questa dimensione, di risposta ai bisogni dei poveri, che si colloca la nostra testimonianza umana e cristiana, garantendo un'attenzione e un aiuto a chi si trova nel bisogno. Possiamo farlo solo grazie a chi ci aiuta e sostiene il nostro lavoro da lontano. Noi siamo come la "longa manus" di coloro che vogliono aiutare i fratelli più poveri, e lo fanno anche attraverso noi missionari.

A tutte queste persone, alla loro solidarietà e alla loro fiducia in quello che facciamo e nel modo in cui lo facciamo, va la riconoscenza mia e di tutti i missionari, insieme al ricordo nella preghiera. Siamo consapevoli, infatti, che solo con tale aiuto possiamo realizzare quello che stiamo facendo.

Il Signore ci ricopra delle sue benedizioni e ci tenga una mano sulla testa, perché possiamo continuare a fare bene quello che stiamo facendo per il suo regno.



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