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La missione chiama: Noi siamo "il cielo di Dio"

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Il cielo di Dio sono i suoi figli. Mi è sembrato un dono di Dio vedere, con i suoi occhi, le luci sulle tombe del camposanto. Ogni volto mi è parso come una pagina del libro della vita. Ho visto in quelle luci il segno di un progetto d’amore che si compie nei secoli.

Il cielo di Dio sono i suoi figli. Così ho visto il futuro dell’umanità, già presente in coloro che sono stati purificati dalla vita e dal sangue di Gesù. Tutti senza distinzione, semplicemente perché nati, siamo chiamati alla pienezza della vita, cioè a vivere relazioni di amore vero, gratuito e bello, per sempre.

Perché Dio è amore, i suoi figli non hanno altro destino che essere nell’amore, come germogli dell’albero della vita. Grazie Signore per tutti!

Eppure, quel silenzio quanto è lungo, quanto è denso quel buio che ci separa dai nostri cari nel mistero della morte. Finché ci è dato di scoprire che Qualcuno è venuto e ha acceso la sua luce. Da allora la porta è aperta e una nuova strada si snoda tra terra e cielo.

“Ho visto una folla immensa”. C’è gente che parla e si tiene per mano. È festa; c’è canto e gioia; c’è il respiro della vita vera che è amore e pace. Tu Signore Gesù, sei sceso nel tunnel del nostro cammino. Hai acceso la luce. Hai aperto la porta della vita. Come non dirti grazie? Come non dirlo a chi ancora cerca il senso del cammino?

Non è un sogno. Tutta la storia della salvezza cammina verso quella luce. Il Signore disse: “Abramo… guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza” (Gn 15,5). E il salmo 146, come una risonanza della promessa, ripete: “Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome”.

Nel sabato santo Dio ci dice che la salvezza, operata dal Signore con la morte e la resurrezione, è universale. Per questo - scrive Adrienne von Speyr - noi osiamo “sperare per tutti”. Ma tutto è ancora coperto dal velo del mistero. Perché tutto non è ancora compiuto.

La strada è lunga. Conosciamo la sofferenza. Il dolore di tanti piccoli, di donne e di uomini vittime dei conflitti, di profughi sperduti nella foresta, di clandestini annegati nel mare, entra spesso nelle nostre case. I morti della Birmania, dell’Iraq, del Darfur… sono anche i nostri morti. È un dolore che ci chiama alla conversione.

Ma tu conosci ciascuno di loro per nome, Signore; li accogli nella tua casa e fai di loro il tuo cielo.

Grande è il popolo del Servo Sofferente: “Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza sino all’estremità della terra” (Is 49, 6). Solo la “gloria”, come relazione alla croce e resurrezione di Gesù, rivela il senso della croce presente in ogni uomo. È forse uno dei motivi che fa accettare al Padre la sofferenza del Figlio. Il Signore vede presente ciò che per noi è proiettato nel futuro.

“Ho creduto, perciò ho parlato - scrive Paolo ai Corinti. Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi”. La missione è comunicazione dell’esperienza di fede, una risposta che viene dall’Alto alla ricerca profonda dell’uomo e dei popoli.

Tutti sono chiamati a essere cielo di Dio. “Abbiamo bisogno di Dio, di quel Dio che ci ha mostrato il suo volto e aperto il suo cuore: Gesù Cristo”, ci ripete papa Ratzinger. Questo non significa disprezzo delle altre esperienze religiose. Ma toccati interiormente dall’incontro con Lui e dai suoi doni, ci sentiamo impegnati a farne dono anche agli altri.

La Chiesa delle genti è aperta a tutti ed è sempre in cammino, perché ci sono persone in attesa che non si accontentano di ciò che tutti hanno e pensano, ma cercano la stella che può indicare la via verso la Verità, verso il Dio vivente.

La Verità non è un nostro prodotto. Come l’Amore, si può solo ricevere e trasmettere come dono. Di essa siamo testimoni.



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