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La missione chiama: Dio in forma di pane

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Afferma Mahatma Gandhi: “Ci sono così tante persone affamate nel mondo che Dio si può rivelare solo in forma di pane”. Gandhi ha colto una dimensione vera dell’ Eucarestia: il nostro essere figli di Dio-Amore e fratelli tra noi.

La fede in un “Dio di pane”, e pane spezzato per la vita del mondo, ci lega in modo incredibile a quanti sono privi del necessario.

La mistica del sacramento ha un carattere sociale. L’unione con Cristo è anche l’unione con tutti. Il nostro prossimo è universale, ma rimane concreto e richiede un impegno pratico, qui e ora. Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. Papa Ratzinger ce l’ha ricordato più volte.

Eppure 30 mila bambini al giorno muoiono di fame o di malattie curabili. Sono bambini che fanno parte di quel miliardo di persone che vive con meno di un dollaro al giorno, e di quei 18 milioni di persone (50 mila al giorno) che muoiono ogni anno per cause legate alla povertà. Oltre le cifre, c’è il volto reale della fame; ci sono persone concrete con il loro nome.

Noi missionari non possiamo dimenticarli. Per questo, insieme a coloro che hanno a cuore la dignità di tutti gli uomini, ci sentiamo impegnati a cercare, alla luce del vangelo, risposte adeguate e più umane ai problemi della fame e dei rapporti tra i popoli.

La fame oggi è soprattutto un problema di giustizia economica. L’economia presenta non pochi aspetti “selvaggi” nelle relazioni tra uomini e donne della stessa famiglia umana. Eppure la persona umana si realizza pienamente solo nel dono di sé e nelle relazioni giuste con gli altri.

La fede nel Padre-Amore sprigiona nell’esistenza la fiducia in Dio e la responsabilità verso il prossimo: “Vi ho chiamato amici”, ha detto Gesù. Amici: è qualcosa di più che fratelli, perché l’amicizia esprime la libertà, la reciprocità, il rischio, la gioia dei diversi che si riconoscono fratelli. Non un fatto elitario, ma un motivo per una nuova socialità. È qualcosa di nuovo. Ho letto la scritta sulla tomba di Saicho, monaco buddhista giapponese: “L’apice della compassione è dimenticare se stessi e servire gli altri”.

Cibopertutti”. Sto vivendo a Parma un’esperienza interessante con un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di varie associazioni. Ci siamo proposti di riflettere e agire sul tema del cibo come diritto, come risorsa naturale, come oggetto di cambio e di consumo.

“Cibopertutti” è il nome dell’associazione che vuole contribuire attivamente alla promozione di un mercato equo e accessibile a tutti, offrendo occasioni di incontro tra produttori e consumatori, attraverso esperienze di vita e di imprenditorialità a partire dal sud. A ottobre è previsto il festival “Kuminda”, una parola in lingua creola che significa cibo.

La novità sta in questo: vedere l’economia come espressione di un rapporto umano genuino. Nasce così una forma di “inter-esse” saggio, dove l’efficienza vive insieme alla solidarietà, alla reciprocità, a ciò che è bello e buono per tutti, e perché no, alla spiritualità e alla comunione. Lo intuiva mio papà ortolano che vendeva frutta e verdura. Diceva con semplicità: “Se tu sei onesto, sei in pace, fai contento il cliente e lui tornerà a comprare da te”.

L’economia diventa allora un potente invito alla conversione verso il progetto di Dio, Padre di tutti gli uomini. Un’economia che tocca i conti in banca e apre la borsa della spesa alla condivisione con il prossimo lontano. Il fratello mi è sempre vicino, anche se vive a 10 mila chilometri di distanza.

Ho bisogno, tutti abbiamo bisogno di ripartire da Nazaret, dalla casa del lavoratore Gesù. “Solo partendo da lì, anche la chiesa potrà prendere un nuovo slancio e guarire. Non potrà mai dare la vera risposta alla rivolta del nostro secolo contro la potenza della ricchezza, se non vive la realtà di Nazaret” (card. Ratzinger ai Piccoli fratelli).



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