La mia lettura è… a pezzi
Caro direttore, bella l’idea della mini inchiesta su “Missionari Saveriani”, e rispondo subito. Aggiungo che sono felicemente stupito nell’apprendere che il “nostro” mensile è stampato in 60mila copie! Bene, bene!
La mia lettura è a pezzi. Nel senso che ho tempi diversi. Conducendo una piccola azienda agricola famigliare, d’estate il lavoro mi lascia poco margine di tempo per la lettura. Viceversa d’inverno, abitando in città - dove mi godo il calore di moglie, figlie, generi e nipoti, oltre che dei termosifoni - dedico più tempo a lettura e scrittura. Sia la calma lettura totale sia quella più affrettata e selettiva, mi riempiono il cuore di gioia perché sento tanta ammirazione per tutti i saveriani e aderisco toto corde alla filosofia che ispira le vostre / nostre pagine.
Se possibile, essendo io agronomo-contadino, leggerei con piacere qualche illustrazione di tecniche agricole (uso di attrezzi, di animali da lavoro, di tecniche d’irrigazione…) con cui i missionari vengono a contatto, perché penso che possano contenere preziosi insegnamenti. L’agricoltura, che nel nostro mondo ha soppiantato la civiltà contadina affidandosi alla potenza della chimica e della meccanica (entrambe dipendenti dal petrolio), deve fare un bagno d’umiltà e imparare dagli altri. Si deve imparare, non solo insegnare.
Sono felice di sapere che a Parma ci sono tanti giovani teologi che si sottopongono a un congruo periodo di formazione per prepararsi a servire il vangelo. Come ci viene dall’esempio di Gesù, sarei contento di sapere che nella loro formazione è incluso il lavoro manuale (cucina, laboratori artigianali, campi e allevamenti…). Pregate per me, grazie. Un fraterno abbraccio,
Beppe Marasso, Torino.
Caro “collega” Beppe,
non so come esprimerti la mia ammirazione per lo stile di vita che conduci, tra cascina e città, tra fatica e riposo, tra fretta e calma, tra campi e famiglia. Una vita che ritengo “fortunata”. Anche se la tua lettura è “a pezzi”, la tua vita è ben integrata nella varietà delle stagioni e delle relazioni, vissute “toto corde”, con tutto il cuore. È il modo migliore per affrontare la duplice fatica del lavoro e della vita.
Mi hai fatto venire la tentazione di accogliere la tua proposta sull’agricoltura “missionaria”, magari cogliendo l’occasione della EXPO di Milano, su “Nutrire il pianeta”. Ci proverò. Anche perché sono d’accordo: c’è davvero molto da insegnare e da imparare. Io stesso ho sperimentato la grande utilità del contadinaggio a servizio del vangelo e del benessere.
I nostri giovani teologi fanno qualche “lavoro manuale” e qualcuno si dedica anche a curare un orticello di pochi metri quadri, coltivando le verdure tipiche dei loro paesi d’origine: San Guido Conforti ci teneva molto che i suoi missionari praticassero medicina, agricoltura, meccanica…, e san Paolo si gloriava di mantenersi con il lavoro!
Ma devo farti una confidenza: per amore della campagna, ho rischiato grosso. Il giorno della mia ordinazione sacerdotale, mio padre ha sollevato una forte obiezione: “Dubito che Marcello abbia la vocazione sacerdotale: va troppo nell’orto a lavorare, e io non ho mai visto lavorare un prete!”.
Marcello, sx.