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La gloria di Dio è l'uomo vivente

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Per non cadere in contraddizione

Sono ancora vivi nella mente gli echi della commemorazione dell'11 settembre. I giornali si sono riempiti di ricordi e di testimonianze, tanto toccanti quanto dolorose. La televisione ha mostrato nuovamente quelle immagini sconvolgenti dell’anno prima. Le chiese hanno ospitato cerimonie di suffragio per le vittime. E’ il momento per pensare e riflettere, a distanza, su questo avvenimento e alla sua risonanza.

Non ci sono dubbi: è un fatto che ha sconvolto la storia che "non può essere più la stessa". E' vero. L’attacco del terrorismo internazionale, il primo di queste proporzioni nella storia, non sarà mai condannato abbastanza. Esso ha segnato purtroppo l'inizio di una nuova epoca, di paura; ha scatenato violenze, estremismi politici e religiosi; ha avuto ripercussioni a catena; ha ravvivato rancori e provocato voglie di vendetta. Un atto che nessuno potrà mai giustificare, per nessuna ragione al mondo. E che anche noi fermamente deploriamo.

Tuttavia, non riesco a scuotermi di dosso l'impressione che la celebrazione dell’anniversario abbia avuto anche qualcosa di ambiguo.

Mi sono domandato: come mai quel misto di lutto e di rivalsa? come mai quell’appello ad una nuova guerra?

Nei discorsi di questo primo anniversario, solo pochi hanno ricordato che la guerra in Afghanistan non ha raggiunto quegli obiettivi che si proponeva, nonostante le tante vittime e le ingenti sofferenze che la popolazione civile ha dovuto sostenere. C’è stato, sì, un cambio di regime che ha riportato alcuni valori democratici, ma sembra aver cambiato di poco la reale situazione della gente. Coloro che si ricercavano, "o vivi o morti", continuano a covare i loro criminali progetti. E la guerra continua. Anzi, ne sta provocando un'altra, in una pericolosa reazione a catena.

Pochi hanno sollevato il problema della legittimità di questa nuova guerra, che ha assunto il connotato di "guerra preventiva".

Ancora una volta è stato il Papa, anziano e malato, il primo ad alzare la voce, come l'anno scorso del resto, per ricordare al nuovo ambasciatore della Gran Bretagna presso la Santa Sede e al mondo intero, che il terrorismo internazionale costituisce una minaccia per la comunità internazionale, ma che per combatterlo "è necessario risolvere quelle scandalose situazioni di ingiustizia, di oppressione e di emarginazione che continuano ad opprimere innumerevoli membri della famiglia umana" (7 settembre 2002).

Il pensiero di una nuova guerra, che si vuol fare a tutti costi (così almeno pare a me), non sembra far paura più a nessuno. I governi che la rifiutano lo fanno per altre ragioni di carattere politico, non perché la guerra sia un male umanamente intollerabile ed evangelicamente inammissibile. C'è da dare per scontato che, anche nell'ipotesi che Saddam accettasse (come ha accettato) tutte le ingiunzioni dell'Onu, la guerra sarà alla fine ugualmente dichiarata. Perché l'Iraq non produce solo frutta e verdura! Questo è il punto che conta.

A nessuno Stato è concesso di dichiarare guerra ad un altro Stato, in spregio di ogni diritto internazionale, senza che ci sia un’aggressione in atto. Chiediamoci: come mai oggi nessuno ha il potere di far rispettare questa norma? Una simile arroganza (questo è il suo vero nome) non può essere né accettata né giustificata, neppure per legame di riconoscenza.

La coscienza cristiana deve dichiarare, a chiare note, che la guerra non produce la pace, anzi prepara di solito un altro conflitto, e fa danni infinitamente più grandi di quelli che aggiusta. Purtroppo assistiamo ad una perdita di coraggio e di franchezza da parte dei cristiani nel denunciare le strutture di peccato del nostro mondo; assistiamo ad un assordante silenzio da parte di molti pastori, fino a far supporre che la vita della povera gente, ormai, non valga più nulla.

E’ questa la seconda riflessione che vorrei fare con voi. I tremila morti annientati nel disastro dell'11 settembre sono stati molti, troppi. Ma abbiamo mai riflettuto ai tanti altri che sono morti in questi ultimi tempi, vittime delle guerre, del narcotraffico e del terrorismo, della violenza, della fame e delle malattie nei paesi poveri? Non sono anch'essi persone umane come i morti delle Torri di Manhattan? Come mai per quelli nessuno si preoccupa più di tanto? Ci siamo forse fatti una doppia coscienza? Una che reagisce al male che tocca noi e che esige giustizia; ed una che rimane inerte davanti al male dei poveri, destinati come sono a scomparire nel silenzio e nell'indifferenza del mondo?

Elie Wiesel, un pensatore ebreo, scriveva qualche tempo fa che l'opposto dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza. E in realtà quando noi dimentichiamo coloro che soffrono, quando passiamo accanto a loro, come il sacerdote e il levita della parabola del buon samaritano, noi li condanniamo a morire due volte. 

Noi cristiani crediamo nella pace che Cristo ci ha portato: dobbiamo rifiutare la guerra, ogni guerra.

Noi apparteniamo ad una chiesa che è esperta in umanità, come diceva Paolo VI. Non possiamo lasciar cadere nel vuoto gli interrogativi sollevati dal disastro dell'11 settembre, senza cadere in contraddizione con la nostra fede.



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