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La beatitudine della persecuzione

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Siamo lieti di pubblicare questa intervista a p. Piero Lazzarini, di Torre Boldone, da tanti anni missionario in Sierra Leone. A causa della guerra aveva dovuto lasciare la missione; ma ora, con altri confratelli, va a riprendere il suo posto di lavoro. Le sue parole ci aiutano a capire il senso dei tragici eventi di quella missione.

Una guerra assurda quella della Sierra Leone. Quali le sue conseguenze sulla Chiesa?

Sì, la guerra civile che insanguina la Sierra Leone dal 1991 e che in questi ultimi anni si è allargata a tutto il paese fino a portarlo sull'orlo del caos e della disperazione, è veramente una guerra assurda. Non è guerra tribale, non è guerra di religione; è guerra di potere, di interessi e di ingordigia, anche se camuffata col linguaggio politico tipico di chi si fa, falsamente, paladino e salvatore del popolo. Osservatori esterni delle vicende africane l'hanno definita "una guerra di ribelli ma senza una causa!".

La Chiesa cattolica che da sempre, in Sierra Leone, gode di autorità ed è da tutti rispettata, ne è stata coinvolta e ha dovuto pronunciarsi a favore della pace e del diritto. Varie persone, inclusi i missionari e le missionarie, sono state sequestrate e usate come merce di scambio; altre sono state uccise e hanno così arricchito il martirologio della Chiesa. Molte le missioni saccheggiate e date alle fiamme.

Quali le conseguenze sulla Chiesa e a favore della Chiesa? I recenti tragici eventi, diceva giustamente p. Lappia, uno dei più maturi preti sierraleonesi, hanno cambiato radicalmente la fisionomia della Chiesa in Sierra Leone. È passata quasi improvvisamente da una situazione di Chiesa trionfalista a quella di serva sofferente. E stata una vera conversione evangelica, operata dall'intervento del Signore; per di più le fughe, le sofferenze, lo spogliamento subito hanno .profondamente affraternato pastori e fedeli, missionari e preti locali, i fedeli tra di loro, e tutti hanno fatto esperienza della vicinanza della grazia del Signore.

La Chiesa è diventata più conscia della sua missione che è quella di proclamare la Parola con forza, resistendo alla tentazione di offrire incenso al dittatore di turno, accettando anche il rischio della persecuzione. E penso che sia diventato chiaro a molti dei nostri cristiani e dei non- cristiani che la richiesta del battesimo non è una scelta di convivenza o di prestigio, ma scelta impegnativa e rischiosa.

Anche tu sei dovuto fuggire. Ora, con altri missionari, ritorni ancora sul campo di lavoro: che cosa vi spinge a ritornare?

Sì, siamo fuggiti tutti pochi giorni prima dello scorso Natale, quando le forze ribelli riapparvero improvvisamente sulla scena, più forti di prima e riuscirono a travolgere i nostri difensori e avrebbero voluto impadronirsi del potere. Fu il vescovo a darci l'ordine di allontanarci. Nel Vangelo Gesù dice ai discepoli: "Se vi perseguitano in una città, fuggite in un'altra".

I nostri cristiani, loro pure riparati nella foresta insieme a noi, ci consigliavano di metterci al sicuro. Loro sono più equipaggiati di noi a sopravvivere nella foresta. Dovetti partire, ma il dolore del distacco fu forte. Promisi loro che li avrei ricordati ogni giorno e che sarei tornato appena possibile. Qualcuno mi chiede: "Perché tornate se è vero che tutte le missioni sono ancora occupate e tante sono state distrutte?".

Come posso dimenticare che ho lasciato letteralmente migliaia di cristiani e tante altre persone nascoste nella foresta? Mi ritornano continuamente in testa queste domande: "dove sono, dopo questi mesi, queste persone? Come sono sopravvissute? Avran trovato cibo per sé e per i loro numerosi bambini?". Ho una promessa da mantenere: "Tornerò appena mi sarà possibile".

È vero che non posso tornare a Magburaka, la nostra missione. Ma intanto ci sistemeremo in Guinea, ai confini della Sierra Leone e ci dedicheremo all’assistenza religiosa e umanitaria delle migliaia di rifugiati. Tra loro, sono certo, ci sarà qualcuno dei nostri cristiani. Si spargerà la voce che siamo tornati: che siamo lì con loro e questa nostra presenza diventa testimonianza di fraterna solidarietà con quella gente martoriata da tanta sofferenza.

La Chiesa che è in Italia e in Bergamo che cosa potrebbe fare per sostenere i credenti e il popolo della Sierra Leone?

Debbo dire che appena rientrati qualche mese fa, dalla Sierra Leone, come fuggiaschi e profughi, ci siamo sentiti avvolti da un’ondata di simpatia e di solidarietà. Da molte parti, parrocchie, gruppi, comunità, ci giunse l’invito di andare a raccontare e condividere: c’era il desiderio vivo della informazione e della conoscenza. Sono sorte tante iniziative; si sono moltiplicati, in pubblico e privato, i gesti della generosità. Non mi aspetto che la Sierra Leone rimanga al centro dell’attenzione della nostra Chiesa e delle nostre parrocchie. Essa è solo un piccolo paese della grande Africa, dove purtroppo ci sono al giorno d'oggi almeno 15 guerre in corso con innumerevoli tragedie indescrivibili che vengono quotidianamente consuma te in "silenzio". È chiaro che la prima cosa che desideriamo è quella di essere ricordati, accompagnati e sostenuti dalla nostra Chiesa, attraverso le parrocchie e il Centro Missionario.

Sottolineo che ciò avviene già e colgo l'occasione per ringraziare di cuore. È importante ed è molto incoraggiante per noi missionari sapere che la Chiesa che ci manda e che noi rappresentiamo in Africa ci ricorda continuamente grazie alla stampa, ai mezzi di comunicazione ed alla preghiera di tante comunità che assicurano un flusso incessante di energia spirituale orientato verso di noi. Alle volte possiamo avere bisogno di aiuto materiale.

Ma dico subito che la nostra gente di Bergamo è molto generosa, ed anche per questo esprimo la mia riconoscenza. Attualmente, nel nostro caso, la priorità più importante è la presenza, l'esser vicini, l'esser con loro.

Ma vorrei concludere con una proposta che ritengo non solo importante, ma vitale. Si tratta di aiutare le parrocchie a scoprire il ruolo primo, essenziale del Gruppo Missionario, che non è quello di raccogliere fondi e mezzi per le missioni, pur sempre utili e desiderabili, ma quello di animare missionariamente la comunità. Occorre mettere la missione della Chiesa, cioè l'evangelizzazione, al centro di tutta la vita ecclesiale. Bisogna accentuare anzitutto l'impegno personale, sia qui che in missione: quindi più che altri mezzi occorrono altri missionari e altre missionarie.



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