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L’Adozione non è solo questione di gusti

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Mio marito vive ancora

Il cielo cominciava a farsi buio, quando una signora ha suonato alla porta dei Saveriani: "Padre, mi perdoni, ma non ho potuto arrivare più presto. Sono costretta a lavorare per mantenermi e finisco col fare le cose più  importanti la sera, quando esco dall'ufficio. Sono venuta con la speranza che mi possiate aiutare a trovare un indirizzo, che per me è importante. Due anni fa ho perso mio marito. Era ancora giovane: un male che non perdona me lo ha portato via.

Così sono rimasta sola e non ho più nessuno. In quei giorni ero così sconvolta, che non presi neppure in considerazione i messaggi di condoglianza. Li raccolsi in un cassetto, riproponendomi di leggerli con più calma. Qualche giorno fa ho trovato il coraggio di riaprirlo. Tra le altre lettere ho trovato questo meraviglioso biglietto speditomi da una famiglia:

"Cara signora, siamo certi che Alberto, suo marito, continua a vivere, convinti che la sua fede e la sua bontà non andranno perse nel nulla. Anzi, si perpetueranno di certo nella vita di qualcun altro. E affinché Alberto viva per sempre abbiamo domandato ai missionari di battezzare un bambino col nome di Pietro". Desidererei tanto ringraziare quella famiglia, ma il biglietto non riporta l'indirizzo. Sono inopportuna, se le chiedo di aiutarmi a ritrovarlo nell'elenco degli abbonati a Missionari Saveriani?".

Purtroppo i dati forniti da quella signora erano così vaghi che la ricerca fu vana. Cogliendo la delusione che accompagnava i miei tentativi di ricerca, essa si premurò di assicurarmi: "Comunque, mi basta la certezza che il nome e i valori in cui mio marito ha creduto verranno perpetuati in qualcun altro". E la signora uscì dal portone, con la medesima discrezione con cui vi era entrata.

Mwenda, lebbroso sorridente

Quella testimonianza era così bella, che mi lasciò nello stupore. Nella mia mente riaffiorò come per incanto il volto di Mwenda, un giovane congolese di vent'anni, che avevo battezzato e reso felice, integrando il suo nome  tribale con quello cristiano di Pietro. Sentivo che la storia di Mwenda avrebbe arrecato tanta consolazione a quella signora. Ma era già uscita dalla mia vita. Chissà se questa pagina la raggiungerà, là dove essa vive.

Mwenda, tradotto in italiano significa "Va lontano". Ma per l'ironia della sorte, per lui quel nome aveva assunto il significato di "tieniti alla larga". Ebbi la ventura di incontrare Mwenda quando alla missione stavamo preparando quattrocento catecumeni al battesimo. Ricordo il suo sorriso melanconico, si teneva sempre un po' in disparte e si dileguava rapidamente, una volta terminata la catechesi.

Prima del battesimo avevamo l'usanza di invitare i catecumeni a scegliere tra i nomi cristiani, quello che sarebbe diventato il loro. Mwenda si affrettò a sussurrarmi: "Pietro, sarà il mio nome per sempre". Quel nome mi era stato affidato dalla giovane sposa di un carabiniere ucciso dalle Brigate Rosse, a Viterbo. Anche quella donna era rimasta tragicamente sola con due bambini che avevo conosciuto personalmente.

Avrei riservato quel nome per un catecumeno che ne avrebbe avvalorato la testimonianza. Il giorno dopo aver ricevuto il battesimo, Mwenda si presentò alla missione e mi disse: "Padre, ho un segreto da rivelarti". Seduto nella penombra della stanza in mattoni di fango che fungeva da ufficio parrocchiale, mi mostrò le sue mani: dita rigonfie, mozze, sanguinanti. Erano le mani di un lebbroso!

"Te le ho sempre tenute nascoste, per paura ché tu mi rifiutassi il battesimo. Ora che tu mi hai battezzato, sei divenuto mio padre, e posso confidarti che nessuno vuole accostarsi a me, a causa di queste mani. Quando le dita · hanno cominciato a sanguinare, anche mia moglie si è allontanata da me. E sono rimasto solo con la nostra bambina. Di giorno sto nascosto nella capanna, di notte esco a procurare il cibo per tutti e due".

Adottato da Dio

"Caro Pietro - gli dissi - ricordati che il tuo vero Padre è Dio, non quel povero uomo che sono io. Lui ti ha adottato come figlio; non ti abbandonerà. Lui non si terrà lontano né da te, né dalla tua bambina. Come si chiama tua figlia?". "Il suo nome è Ka Bibi. Vorrei che crescesse in fretta e che anch'essa fosse adottata da un Padre Buono com'è Dio".

Il giorno seguente venne di nuovo alla missione. Aveva in braccio KaBibi, ..che significa "Piccola Donna". Era proprio una piccola donna, piccola piccola, ma graziosa e coccolata dall'affetto e dallo sguardo del suo giovane papà: lebbroso, sorridente.

Gli feci notare che apprezzavo il suo ritrovato coraggio di uscire dalla capanna in pieno giorno. E gli promisi che avremmo trovato un modo per reinserirlo a pieno diritto nella società. Ogni giorno Pietro ritornava alla missione, manifestandomi la gioia che sospinge l'africano a visitare i parenti. Con le Saveriane ci accordammo perché si prendessero cura della bambina e procurassero delle medicine a Pietro Mwenda. Gli venne data l'incombenza di tenere le erbe almeno quattro metri lontane dal muro di casa, per notare meglio lo strisciare dei serpenti verdi, estremamente velenosi.

Questo significava per lui avere un lavoro come tutti gli altri e un modesto stipendio. Per prudenza avevamo riservato a suo uso esclusivo una zappa, un rastrello, un badile e una carriola. Ma gli altri operai della missione non tardarono a manifestare in coro il loro disappunto: "Padre, non sai che Pietro ha una malattia brutta, brutta? Se tu lo accogli alla missione, noi rinunciamo al posto di lavoro. Ne va di mezzo la salute delle nostre famiglie".

Capii allora quale prezzo mi si chiedeva di pagare perché Pietro Mwenda, adottato per sempre da Dio Padre, fosse accettato anche da tutti gli altri. Ci volle del tempo. Ci vollero molte dimostrazioni di fiducia da parte mia, per convincerli; ad esempio quella di salutare Pietro stringendogli la mano, ogni giorno, davanti a tutti. Ma in me non è scomparsa la certezza che il nome e le virtù di Pietro, giovane carabiniere ucciso a Viterbo, hanno tracimato nella sorte di Pietro Mwenda. Le virtù e le qualità di Pietro sono divenute parte integrante della "adozione" con cui Dio, Padre pieno di tenerezza, ha riconosciuto come suo "figlio per sempre" il lebbroso Pietro Mwenda. Anzi, in me è cresciuta la consapevolezza che Pietro Mwenda, sospinto dalla energia interna di questa "adozione per sempre", ha condiviso in tutto la storia del suo popolo: le gioie, le sofferenze, la solidarietà. Come Pietro, il carabiniere ucciso in un agguato a Viterbo, durante il servizio alla sua comunità.

Pietro il carabiniere e Pietro il lebbroso, dopo essersi scambiati il nome e la sorte, oggi tengono lo sguardo fisso sul volto luminoso del Padre.

Adotta uno scimpanzé

Da quella sera sono passati alcuni mesi. I volti di Pietro il carabiniere e di Pietro Mwenda popolano la mia memoria, insieme con le note della sinfonia del Nuovo Mondo. E questa meravigliosa composizione di volti puliti e di note liberanti non è stata interrotta dall'apparizione in televisione del volto di una giovane donna, che  dichiarava commossa: "Ho adottato uno scimpanzé". Non credo sia solo questione di gusto. Pur col dovuto rispetto per le opinioni di tutti, io ritengo che non si possano mettere sullo stesso piano l'adozione di un lebbroso, fatta da Dio Padre e l'adozione di uno scimpanzé, fatta da una giovane ambientalista. Entrambe sono buone azioni.

Ma una cosa è il "per sempre" che caratterizza l'adozione fatta da un papà adottivo che è Dio, altra cosa è la "temporaneità" che accompagna l'adozione umana, anche se fatta con le più buone intenzioni. Una cosa è l'ecologia e il bene che ridondano sull'intera comunità dalla adozione di Mwenda, il lebbroso, altra cosa sono i vantaggi ecologici dettati dalla adozione di uno scimpanzé da parte di una donna ricca di fantasia.



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