Incontri d'Africa: Sono grandi agli occhi di Dio
Nei miei safari missionari in Sierra Leone, ho conosciuto Yandi, John Yandi. È cieco dall'età di vent'anni; ora ne avrà settanta o più. Conosce tutti i sentieri della foresta, ma soprattutto quelli che portano alla chiesa di Kafogo: all'ora delle funzioni non manca mai.
Lascia il bastone alla porta della chiesa, si prostra fino a terra, orientando il viso raggiante verso l'altare. Poi si alza e va dritto a scegliersi il suo strumento preferito: il cembalo. Siede sulla panca davanti all'altare e mentre attende i fedeli, canta e suona. Il suo corpo vibra felice e il coro segue dondolando i suoi movimenti. Gli domando: "Yandi, ti è mai capitato di essere triste?". Risponde: "Perché dovrei essere triste quando Dio è tanto buono?".
Nella disgrazia arriva la grazia
Yandi non ha conosciuto i genitori. È cresciuto e vissuto in casa d'altri. Il primo ad accoglierlo fu uno zio; poi passò come servo presso un'altra famiglia, che gli promise i riti di iniziazione nel bosco in cambio di lavoro. Ma un giorno il padrone lo trovò che dormiva, invece di lavorare nel campo. Lo picchiò crudelmente e il giovane perse la vista. Nella disgrazia della cecità, la grazia di trovare una persona amica che lo indirizzò a un istituto per cechi tenuto dai protestanti. Per quattro anni si perfezionò in piccoli lavori, come fare cesti e intrecciare stuoie.
Tornato in paese, cercò di trarre profitto da quanto aveva imparato. Ebbe anche la gioia di coronare il sogno di sposarsi. Ma prima ancora di avere figli, lo raggiunse un altro fattaccio. Un suo cognato in una settimana perse tre figli per il vaiolo. Afflitto dal dolore, il cognato consultò lo stregone. Il responso fu crudele: colpevole della morte dei tre bambini era proprio Yandi! Fu radiato dal paese, costretto a lasciare anche la moglie. Si ritrovò solo e perseguitato come un portatore di iella. Oggi vive con una sorella vedova e i suoi tre bambini. Quando hanno cibo, ringraziano il Signore; nei giorni di carestia, condividono la fame.
Yandi si è specializzato in un mestiere che lo sta rendendo famoso: salire sulle piante di palma per raccoglierne il succo. Ogni giorno va nel bosco in cerca delle palme più adatte. Si arrampica come uno scoiattolo, con la lama incide il tronco, appende il contenitore per il succo e scende a terra. Risale su quelle stesse palme dopo quattro - cinque ore per raccogliere il prezioso liquido.
La cecità gli permette di lavorare anche di notte, perché per lui non c'è differenza; gli fa differenza solo il sonno o la stanchezza. Raccoglie ogni giorno circa 8 litri di vino di palma: tanto basta per dare un contributo in casa e farsi degli amici. A detta di tutti, il suo vino è il migliore. Gli domando: "Perché il tuo vino è il più buono del paese?". "Na God - Merito di Dio!", risponde sicuro. Poi aggiunge: "Però è un lavoro che richiede attenzione e tanta abilità, che non tutti hanno".
Nei miei safari ho conosciuto anche Aminata, anziana e zoppa. A Simbek la conoscono tutti. Da quando è diventata cristiana non fa altro che macinare chilometri con il suo bastone. È stata lei a invitarmi nel suo villaggio. Forse era la prima volta che un missionario arrivava fin lì per motivi evangelici. Vi ho incontrato una comunità di nuovi cristiani. Abbiamo pregato, cantato e tanta gioia aleggiava su tutti quei volti.
Durante l'incontro, zoppicando, Aminata ha raggiunto il centro del cerchio, ha deposto il bastone ai suoi piedi e si è inchinata su di esso per dire una preghiera. Poi si è eretta in piedi come una principessa e ha esordito: "Padre, se questa sera può incontrare queste persone che vogliono diventare cristiani, è grazie a questo bastone che mi ha permesso di andare di casa in casa, di villaggio in villaggio per parlare di Gesù".