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In noviziato come in paradiso

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Dopo Pasqua sono tornato ancora una volta a San Pietro in Vincoli (RA), nella “casa di campagna” regalata ai saveriani in memoria del nostro santo fondatore Guido Conforti, che fu eletto a 37 anni arcivescovo di questa insigne diocesi e a cui dovette rinunciare dopo appena due anni per gravi motivi di salute.

La casa, circondata da una verde campagna e da alberi secolari, è diventata per noi missionari e per le diocesi vicine un prezioso centro di spiritualità. Con i miei confratelli ho partecipato alla settimana di esercizi spirituali, predicati dalla monaca t​eologa Laura Gusella.

Un vero spirito di famiglia

Nel 1957, quando vi andai la prima volta con altri due amici seminaristi, accompagnati dai nostri famigliari, quella casa era il nostro “noviziato”. In casa c'era un bel silenzio, perché la comunità, composta da circa 50 persone, stava facendo gli esercizi spirituali in preparazione alla grande festa della professione religiosa.

Ci colpì subito l'accoglienza fraterna dei superiori e dei novizi, e soprattutto lo spirito festoso. L'abbondanza di cibi e bevande, poi, fece esclamare a un mio nipotino di 5 anni: "Qui si mangia meglio che in seminario!".

Era un vero "spirito di famiglia", come ci fu insegnato in seguito.

Nelle regole scritte dal nostro santo fondatore, si diceva di "considerare i genitori come i primi benefattori dell'istituto", perché essi donavano ciò che avevano di più prezioso alle missioni: i loro stessi figli per sempre!

Allora le vocazioni erano numerose!

In quegli anni i seminari delle diocesi e dei missionari erano stracolmi di giovani studenti. Ora non più; e sento un grande rimpianto per un passato ricco di vocazioni. Ricordo in particolare il mio seminario di Cremona, che aveva più di duecento ragazzi e giovani; anche la comunità saveriana di Parma contava oltre cento giovani teologi... Penso a tante comunità saveriane in Italia, che ora sono formate principalmente da missionari anziani o malati.

Grazie a Dio, nelle quattro comunità continentali abbiamo ancora una sessantina di studenti di teologia provenienti dalle varie nazioni dove per decenni hanno vissuto e lavorato i saveriani, in maggioranza italiani, che desiderano rimanere in missione fino alla fine. Li capisco e li approvo, perché anch’io desideravo ardentemente restare per sempre nella missione in cui ero stato inviato ad annunciare il vangelo.

Ma ho capito che tutta la vita, anche se ricca di anni e di malanni, può e deve essere missionaria sino all'ultimo respiro, anche qui, anche adesso, quando e dove Dio vuole.

Senza alcun rammarico, senza nostalgie né rimpianti. Tutto è grazia!



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