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Il venerabile e rinomato "Babbo", P. Rabito, veterano in Sierra Leone

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Mentalità, stile e attività di un veterano della missione in Africa

I concittadini di Villaverla, nel Vicentino, lo hanno visto arrivare ancora una volta, e presto lo vedranno ripartire. Puntuale come una cometa, p. Giuseppe Rabito arriva, si riposa, sbriga qualche pratica, fa un checkup medico e riparte. Si sta avvicinando ai  90 anni e ne ha trascorsi già 54 anni in Sierra Leone. Ma lui vuole essere missionario sul campo, fino alla fine.

Fino agli 85 anni, padre Rabito ripartiva dal soggiorno italiano con una moto nuova, dono dei paesani. Da qualche anno si accontenta della semplice valigetta. Quest'anno ha dovuto accelerare il ritorno di qualche giorno per via di una... caduta. Grazie a Dio, i medici sono sicuri che recupererà, ma intanto l'ha dovuto accompagnare in aereo il premuroso superiore p. Natale Paganelli.

In Sierra Leone lui è un missionario rinomato. Lo chiamano "il Pak" - Papà, Babbo! C'è bisogno di spiegare? È un modo affettivo di chiamare gli anziani venerabili, a cui fare un torto è davvero grave. Padre Rabito è lì come missionario di Cristo, missionario della fede e dell'amore, tra la sua gente. Porta al collo il Crocifisso, non come un distintivo, ma perché crede che solo nella croce di Cristo si rigenera la vita e si crea la speranza per gli uomini.

Il mondo cambia, l'amore resta

Padre Rabito, dalla sua missione di Binkolo, non si rammarica di vedere sfrecciare le lussuose Pajero che vanno verso gli altopiani turistici di Kabala, punto di riferimento settimanale di tante agenzie cosiddette "umanitarie". Lui si inoltra verso l'interno, dove ci sono solo sentieri. Era solito andarvi in moto, fino a quando poteva dominarla con le sue forze. Ora si fa accompagnare dal catechista che gli guida la jeep.

Non si ferma; continua ad andare... A novant'anni quasi suonati, sta realizzando un centro per la brillatura del riso e sta mettendo su un frantoio per ricavare olio dai frutti di palma.

Ma si rammarica per i tanti villaggi che non può più raggiungere a piedi, a causa dell'età.

Dal niente, ora può contare più di quaranta nuove missioni con chiesa, scuola e un piccolo centro sociale. Soprattutto ricorda sempre con piacere che le sue comunità sono quelle che collaborano di più per aiutare i poveri della diocesi; sono sempre i primi in classifica, in assoluto.

Lungo quell'unica strada...

Le Pajero passano in continuazione. Sono i rappresentanti di organismi internazionali: Giappone, Cina, Norvegia, Francia, Italia, Germania, America... Lungo quell'unica strada, spina dorsale di tutta la regione, si sono moltiplicati i cartelli di opere e progetti in cantiere. Sorge il sospetto: perché tanta abbondanza lungo quella strada? È forse diventata una passerella propagandistica per le ditte che realizzano i progetti, a volte anche inutili per la gente del luogo?

Ma quella strada, che taglia a metà la savana, ha centinaia di villaggi lontani, disseminati tra quelle immense distese, e senza strade carrozzabili. Padre Rabito ha raggiunto tutti quei villaggi. In ognuno ora c'è una chiesa dove si prega e si coltiva la speranza, una scuola dove i giovani imparano, un ambulatorio medico e tante piccole cooperative che permettono alla gente di lavorare e sopravvivere.

Viso scarno e pizzetto bianco

Lungo quella strada, che attraversa la missione di padre Rabito e che porta fino a Kabala, c'è un posto di polizia. Quando passa qualcuno, la polizia esce dalla guardiola, si avvicina per dare un'occhiata di controllo e poi pigramente alza le sbarre. Ho avuto più volte l'occasione di passare con padre Rabito, anche di notte e con la pioggia. Appena la polizia scorgeva dentro la jeep il viso scarno e il pizzetto bianco di padre Rabito, tutti si precipitavano non solo ad alzare la sbarra, ma per appiccicare il naso sul finestrino e salutare con un sorriso: "Huu... il Pak!".



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