Abbiamo intervistato tre giovani studenti saveriani, che stanno frequentando l’ultimo anno di teologia a Parma. Si stanno preparando all’ordinazione presbiterale, il prossimo anno, nei loro paesi, Congo RD (Innocent e Serge) e Camerun (Joseph). Tutti e tre faranno la professione perpetua il 5 novembre nel santuario Conforti, a Parma, e l'8 dicembre riceveranno l’ordinazione diaconale. In vista di questi importanti appuntamenti abbiamo rivolto loro tre domande. 1. Come hai conosciuto i saveriani? 2. Cosa porti con te da questi anni a Parma? 3. Cosa sogni per il tuo futuro in missione? Pietro Rossini, sx
Un giorno, nel 2002, conobbi per caso, a Goma, il saveriano p. Luigi Sartorio, la cui casa era sempre aperta. Egli accoglieva e guardava con simpatia chiunque: ascoltava e si interessava, offrendo anche prospettive di fede. Appena lo vidi, mi chiese: "Ti piacciono i prigionieri?". Non sapevo niente della sua vita, lui che era stato preso dai ribelli e messo in prigione, dove ha amato tanto i prigionieri, in condizioni disumane, in quei luoghi dal caldo insopportabile e dall’aria soffocante e puzzolente. P. Luigi mi disse: “In prigione ho visto di tutto, ho sperimentato cosa è l’uomo quando la sua dignità viene calpestata. Lì ho scoperto la misericordia di Dio e mi sono chiesto, tante volte, qual è il senso della vita”.
In quel primo incontro con p. Sartorio, capii che lui forse voleva dirmi certe cose, qualcosa di più sostanzioso. Con il suo silenzio mi fece pensare a cosa avrei fatto della mia vita. Quell’incontro cambiò le carte, mi portò a scegliere e a dire il mio “sì”.
Nel 2009, sono entrato dai saveriani. Dopo cinque anni di cammino (propedeutica, filosofia, noviziato) sono arrivato a Parma per la teologia, nel 2015. Da allora ho imparato tante cose e ho dovuto avere grande apertura verso l’altro. Era la prima volta che vivevo in una comunità internazionale e interculturale. Dovevo conoscere una cultura che non era la mia e ho imparato, come un bambino, come si parla, come ci si veste... Ho amato la cultura italiana, così ricca, a cui devo molto. Il salmo 130, che p. Sartorio recitava spesso, mi ha aiutato, in questi anni, a savoir-vivre e savoir faire: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia”.
Parma è una città ricca, e allora ho cercato di educare il mio cuore a non andare in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Mi sono accontentato di quello che la comunità mi offriva e ne sono grato. Non dimenticherò mai l’esperienza a Pannocchia dove, anche grazie alla gente e alle Piccole Figlie, ho sentito il “calore” di casa. Ho passato tre anni anche al Pozzo di Sicar, un’associazione che accoglie ragazze sfruttate. Lì, ho capito che possiamo vivere insieme, pur diversi. Lì si rispecchiava il sogno del Fondatore, fare del mondo una sola famiglia in Cristo. Nell’incontro con l’altro cadono le barriere e i pregiudizi. A Parma ho dato e ho ricevuto tanto e questo rende felici. Certo, non sempre mi sentivo accolto e compreso. In quei momenti mi veniva in mente la Parola di Dio: “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7).
Con p. Sartorio, parlavamo spesso della Cina, così il mio sogno è di andarci, come cristiano, religioso e missionario saveriano.
