I ragionamenti dei missionari
Il corso di formazione e aggiornamento di tre mesi (a Tavernerio, Como) si è appena concluso. Vi hanno partecipato missionari di otto nazionalità differenti che lavorano in undici Paesi di missione. Ricorderemo questo corso, perché si è svolto nell'anno della canonizzazione di san Guido Conforti. Lo ricorderemo anche perché è stato un ulteriore "scampolo" di quella famiglia di Dio che abbraccia tutto il mondo, auspicata da san Guido.
Il giorno della canonizzazione, uno dei corsisti mi ha confidato: "Partecipando a questa celebrazione mi sono reso conto che Conforti è diventato santo perché ha saputo ricominciare sempre da capo, anche dopo le sorprese non sempre lieti della vita".
Neusarina e il dono di sé
Neusarina è una saveriana nata e cresciuta a Barcarena, in Amazzonia. È un piccolo villaggio, lontano da tante cose: dalla città, dal supermercato, da una chiesa. "Nel mio villaggio - dice - si celebrava una sola Messa l'anno, nel giorno di san Francesco Saverio. Così voleva una tradizione antica di trecento anni, inaugurata dai padri gesuiti".
Neusarina aveva 16 anni quando altri missionari erano giunti a Barcarena, con l'intenzione di fondarvi una missione. Fecero delle riunioni di preghiera nelle case della gente: "I miei genitori furono tra i primi ad aprire loro la porta di casa. Ma, più ancora, decisero di donare una parte del campo di famiglia per costruirvi la chiesa. Il loro gesto mi colpì al punto da pensare che se io non avevo un terreno da regalare al Signore, potevo però donare me stessa.
Uscii di casa a ventidue anni e bussai alla porta delle saveriane, che conoscevo dalla mia prima Comunione. Non avevo idea di cosa volesse dire diventare missionaria. Dopo tre anni sono uscita dal mio paese per venire in Italia. E ho appreso che andare in missione significa anche dedicare tempo per imparare lingue che non si conoscono.
Purtroppo svanì la possibilità di andare in Sierra Leone, dove alcune saveriane erano state sequestrate per 56 giorni, e in Congo, a causa della guerra scoppiata nella regione dove le missionarie lavoravano. Alla fine, ho capito che il Signore mi aspettava nel deserto del Ciad, dove mi hanno affidato l'incarico di seguire le mamme, catechiste dei loro bambini. Erano mamme buone, ma analfabete. Potevano solo imparare a memoria il vangelo e il catechismo, e io con loro. Mi sono sentita come una bambina; e ho compreso che Dio sta veramente in mezzo a noi con la sua misericordia".
Yakobus, fratello di tutti
Padre Yakobus Sriyatmoko è nato nell'isola di Java, in Indonesia, il paese musulmano più grande del mondo. Era professore di chimica e frequentava la comunità cristiana. Una sera, durante la novena a santa Teresa del Bambin Gesù, il Signore gli ha incendiato il cuore. Rivolgendosi alla santa ha detto: "Io sarò tuo fratello". Lei gli ha fatto incontrare i saveriani, l'ha aiutato a lasciare lavoro e affetti; divenuto prete, l'ha accompagnato nella missione in Camerun.
"Al primo impatto con gli africani ho avuto l'impressione che la gente soffra per tanti problemi, ma ha un grande desiderio di vivere. Ho deciso di restare per donare speranza, non attraverso il denaro, ma vivendo con la gente, condividendone gioie e sofferenze. Ma questo non basta; devo condividere anche la fede, la speranza, l'amore e tutto quello che anch'io ho ricevuto in dono.
Per me la missione è diventata visitare le famiglie e i sofferenti. Non potrò trovare le soluzioni a tutti i loro problemi, ma quando la gente si sente ascoltata, torna a casa sollevata, ancor più incoraggiando tutti ad avere fiducia nel Signore, che non ci abbandona mai.
Quando si è sparsa la voce che avrei lasciato il Camerun, tanti sono venuti a dirmi che per loro io ero come un fratello".