Famiglie cristiane e società giapponese
I cristiani giapponesi si interrogano sulla loro presenza in una società nella quale i "valori" sono il successo e il denaro.
Da una quindicina di anni, i vescovi giapponesi lamentano che il difetto principale dei cattolici in Giappone è quello di separare la vita dalla fede e la società dalla Chiesa. Di fronte ad una sfida di tale portata, i vescovi non si sono accontentati di dare direttive, ma hanno tentato di sollecitare il parere della base – sacerdoti e laici – coinvolgendola in due importanti Convegni Nazionali: quello del 1987 celebratosi a Kyoto e, quello del novembre 1993 tenutosi a Nagasaki, terra di martiri e della purezza della fede cattolica, ma anche rappresentante di un certo isolazionismo verso problemi sociali.
Coesistono infatti, nella Chiesa giapponese, due correnti, che possiamo chiamare dei fedeli devoti e dei fedeli sociali, alle quali non sono estranei gli stessi vescovi.
Il convegno di Nagasaki si è svolto tra dibattiti e tensioni, al punto che una buona parte dell’assemblea si è rifiutata di approvare il documento finale fino a che non se ne fece una ristesura accolta poi all’unanimità. Lo scontro, però, è stato salutare: ne è risultato un panorama della Chiesa e della Società giapponese più chiaro che non quello di Kyoto, e ricco di possibili sviluppi. I congressisti, nella maggioranza laici, hanno detto: "La famiglia giapponese sta male perché oppressa da una società in buona parte antievangelica".
Nel documento finale, facendo un’analisi della situazione sociale, i congressisti si sono così espressi:
"L’influenza dell’attuale società giapponese sulle famiglie è talmente forte che non è facile, per i cristiani (la cui presenza è esigua) tener fede ai propri ideali. Al primo posto nella scala dei valori, appaiono infatti il denaro e la carriera. Ci sono poi sistemi di controllo eccessivi ed una grande ansia di efficienza. È molto comune che ognuno si preoccupi egoisticamente solo di se stesso e che, a livello nazionale, si pensi che finché le cose vanno bene per il Giappone, le condizioni degli altri Paesi non sono così importanti. C’è inoltre una tendenza a ignorare l’individualità e la diversità ed a promuovere l’uniformità.
Dobbiamo ammettere che, in Giappone, la Chiesa, che dispensa la benedizione di Dio, non si è occupata molto della famiglia e della grave situazione in cui "vive". Perciò, al tema, proposto dai vescovi fin dal giugno 1990, incentrato su la famiglia, i congressisti hanno risposto parlando invece della Chiesa, offrendo in sintesi questo messaggio: riformiamo la Chiesa per salvare la famiglia. Ponendosi un problema di metodo, giustamente, hanno sentito l’urgenza di inquadrare i problemi della famiglia nel contesto più ampio della società giapponese e della Chiesa. La critica esplicita era: occorre parlare della causa non dell’effetto, altrimenti la Chiesa si rinchiude in sé e si ricade in una catechesi astratta.
I partecipanti hanno puntualizzato il bisogno di rinnovamento in cinque punti che si possono così sintetizzare:
promuovere uno spirito di reale condivisione che comprenda le cose, il tempo, il denaro, le difficoltà e lo stile di vita, diventare una Comunità pensante, in grado di conoscere la situazione attuale della famiglia, di comprendere e condividere la causa degli ultimi (coreani nati in Giappone, residenti stranieri, rifugiati, le donne), e arrivare a dei programmi concreti; curare la formazione permanente dei fedeli, attraverso la collaborazione tra vescovi, preti, religiosi e laici; è fondamentale un rinnovamento della liturgia che renda la Messa un’esperienza arricchente e piena di vita; diffondere e rafforzare la fede tra i giovani, istituendo una scuola cattolica che offra un’istruzione solida e adeguata.