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Emozioni... a fior di pelle

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Mostra di “pittura corporale” Kayapó

Un anno fa, all’ennesima richiesta di aiuto di alcune mamme kayapó, ho fatto loro la proposta di dipingere su pezzi di tela i disegni che esse sono solite fare sul corpo di figli, fratelli, mariti, secondo la loro antica tradizione. Era un modo per guadagnare qualcosa con il lavoro.

Tornato in Italia, ho approfittato del tempo libero per allestire a Caldogno, mio paese natale, un’esposizione sulla “pittura corporale kayapó”, utilizzando alcune delle 200 “tele-disegni” che le donne mi avevano consegnato durante l’anno. L’occasione è stata la festa patronale del paese: il martirio di Giovanni Battista.

Disegni e fotografie

Nella sala parrocchiale, da venerdì 25 agosto e per quattro sere consecutive, i visitatori hanno potuto “ammirare” una trentina di “disegni kayapó”. A commento e descrizione, sono state esposte altrettante fotografie istantanee di uomini e donne, in particolare bambini, colti durante il momento della stesura del colore o già “rivestiti” da un campionario di forme geometriche ispirate al mondo animale della foresta amazzonica. Su un piccolo tavolo ovale, si potevano osservare i materiali vegetali, per la preparazione dei colori (il nero-fumo e il rosso-cardinale), e gli stiletti di bambù usati per stendere il colore sulla pelle.

I visitatori sono stati davvero tanti, giunti anche da fuori paese. Chi ha visitato la mostra ha constatato che la solidarietà, posta nelle mani del missionario, non diventa solo “cibo, vestito, medicina, documento, libro di scuola, formazione...”, ma - come nel caso delle donne kayapó - è qualcosa di guadagnato, frutto di lavoro e impegno.

Non sono “poariti!”

L’esposizione è stata un’occasione d’oro per incontrare tante persone e per rivederne altre. Spesso il visitatore scivolava facilmente su uno dei frequenti luoghi comuni, stereotipi di pensiero di tanta nostra gente: “poariti, come fai vivere in quela maniera lì?”. Come se la maniera di essere e di esprimersi degli indio kayapó e di tanti altri popoli dell’America latina, dell’Asia e dell’Africa, fosse frutto esclusivo della povertà e dell’ignoranza.

Purtroppo, capita che definiamo povero o miserabile chi non conosciamo, chi non risponde ai nostri criteri di valutazione, o semplicemente perché “il numero di persone a cui appartiene è piccolo”. Ma è davvero così? Il diritto alla vita dei kayapó non è solo un diritto umano. Lo proclama anche la nostra fede cristiana: i kayapó sono figli di Dio, redenti da Gesù. Se così non fosse, non staremmo qui a parlare di loro.

Rispettiamo creato e creature

Alla gente che è venuta a vedere la mostra ho indicato, puntando il dito sulla cartina geografica, la regione dove, da secoli, i kayapò continuano a costruire i loro villaggi. Senza la loro presenza, proprio nella regione amazzonica, saremmo tutti più poveri e in pericolo. Forse non ci abbiamo mai pensato: difendendo i “piccoli della grande Amazzonia”, difendiamo e valorizziamo anche noi stessi e il mondo in cui viviamo. Davvero, stiamo navigando tutti sulla stessa barca.

Abbiamo anche commentato la figura del “missionario oggi”. Una delle sue caratteristiche è quella di “fare da ponte” ed essere, nello stesso tempo, “traghettatore di messaggi”.

L’evangelizzazione ha le sue dinamiche. Per lo Spirito che la guida, essa trova sempre la strada per arrivare al cuore degli uomini e annunciare “che il regno di Dio è vicino”. Sul missionario, transitano mondi diversi, vanno e vengono, si comunicano, si conoscono: per crescere e scoprire insieme che Dio è Padre di tutti e che tutti, in Gesù, sono fratelli.



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