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Dalla Sorbona al Canal Grande

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Universitari a servizio degli incurabili

Il piccolo nucleo dei compagni arriva in Italia ai primi di gennaio del 1537. Volevano recarsi in Terra santa per dedicarsi all'apostolato nella terra dove Gesù era vissuto e aveva predicato il vangelo. Così avevano promesso a Montmartre il 15 agosto del 1534. Partono da Parigi il 15 novembre 1536 e impiegano un mese e mezzo per giungere a Venezia.

La via più difficile per l'Italia

La via più facile sarebbe stata verso il sud della Francia e il Piemonte, ma erano in corso guerre di religione. Decidono perciò di incamminarsi verso est, attraverso la Lorena, la Germania e la Svizzera. Dal Tirolo, attraversano le Alpi e passano per Bolzano, Trento e Bassano. Incontrano grandi difficoltà, non solo per il freddo invernale e i conflitti, ma anche per il disprezzo e gli insulti che provenivano da coloro che avevano abbandonato il cattolicesimo. Dicono di essere pellegrini parigini e che vogliono recarsi al santuario di Loreto, in Italia. Fanno tutto il percorso a piedi, pregando e meditando. Ogni decisione è presa a maggioranza, dopo che ognuno ha espresso il proprio parere e le proprie ragioni.

La permanenza del Saverio in Italia è di oltre tre anni, da gennaio 1537 fino ad aprile 1540. Un periodo fondamentale e decisivo per la “Compagnia di Gesù”: da un piccolo gruppo di amici, la compagnia acquista stabilità, con uno statuto approvato dal papa. Si chiarisce e definisce meglio la loro vocazione apostolica universale. Si distinguono per la loro dedizione totale alla chiesa, attraverso l'obbedienza al papa.

Una grande città in discesa

Arrivano a Venezia il 6 gennaio 1537. Ignazio era già lì ad attenderli. Venezia si presenta al Saverio come una grande città, vivace per la sua arte e il commercio. Con oltre 100mila abitanti, è una città cosmopolita. Vi dimorano africani, egiziani, ebrei, turchi, armeni e tanti altri nuclei etnici. Una città aperta, indipendente e neutrale, dedita principalmente al commercio e allo scambio interculturale, in un clima che oggi definiremmo “laico”.

Ma è una città ormai in discesa, rispetto allo splendore e alla vivacità del passato. Proprio in quegli anni, accanto agli splendori dei palazzi, degli abiti e delle gale, Venezia è “castigata” da piaghe, pesti, malattie contagiose e incurabili, tra cui la sifilide o “male francese”, portate e diffuse dai soldati francesi di Carlo VIII, alla fine del XV secolo.

Ignazio è a Venezia già da un anno e continua lo studio della teologia, ma non gode di buona fama. È sospettato di eresia e ritenuto un “fuggitivo” dalla Spagna e da Parigi proprio per questa ragione. È ospite del priorato “La Trinità”, nel quartiere Dorsoduro, dove ora sorge il seminario e la basilica di Santa Maria della Salute.

Un'attesa molto operosa

Non lontano, nell'ospedale degli incurabili, ci sono almeno 500 ospiti tra malati di sifilide, bambini orfani e donne”pentite”. Qui presta servizio il Saverio. Gli altri compagni aiutano all' ospedaletto dei Santi Giovanni e Paolo. Non si trattava di “ospedali” nel senso moderno della parola. Oltre agli infermi, vi erano accolti poveri, mendicanti, pellegrini e la popolazione più indigente. Generalmente, le condizioni di igiene, pulizia e alimentazione erano molto scadenti.

Del Saverio a Venezia si raccontano due fatti. Mentre sta pulendo le piaghe fetide di un malato, egli prova una forte nausea; per vincerla, si mette in bocca le dita sporche di pus. Si ricorda anche la lotta con la donna indemoniata che lavorava nelle cucine dell'ospedale, salvata con gli esorcismi e le penitenze del santo.

Mentre aspettano di poter partire e realizzare il voto del pellegrinaggio in Terra santa, Saverio e compagni sono costretti a vivere in situazioni precarie, ma non stanno con le mani in mano. Si inseriscono totalmente e a tempo pieno nelle situazioni in cui vengono a trovarsi, come se avessero fatto quella scelta in modo definitivo! L'identità cristiana e missionaria, infatti, non vive mai “di passaggio” o “in attesa”. Non può restare in attesa di tempi e luoghi migliori...

Deve realizzarsi ed esprimersi in ogni tempo, luogo e circostanza.



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