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Cosa si aspetta l'Africa: Ha bisogno di persone amiche

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Sto scrivendo da Bujumbura, capitale del Burundi. Quando arriva qualche giornale italiano o europeo, d’istinto vado a vedere se parla dell’Africa. Devo confessare che la speranza è ormai poca; non dico di vedere che si parli del Burundi, delle sue speranze o miserie, ma neppure dell’Africa. L’Africa approda sulla nostra stampa italiana, e quindi alla nostra coscienza di cittadini, tutt'al più quando succede qualcosa di enorme o quando viene ucciso un italiano. E vi resta lo stretto necessario, per poi dare spazio ad altre notizie…

Africa da compatire?

Quanto alle riviste missionarie, si deve ammettere, pur con qualche buona eccezione, che spesso di Africa si parla per provocare la compassione oppure per fare del trionfalismo. Questo genere di informazione comincia a darmi la nausea.

È ora che cerchiamo di comprendere quello che l’Africa sta vivendo, quello che essa cerca e vuole, e non quello che noi vogliamo farle cercare. Non sarebbe meglio fare dei discorsi più coraggiosi e domandarci perché l’Africa è finita in queste condizioni?

Perché essa si trova alla deriva dei continenti e dell’attenzione del mondo?

Un’informazione superficiale infatti permette ai mali dell’Africa di continuare ad esistere, a tutto vantaggio di coloro che continuano a pescare nel torbido.

Una specie di malasanità

“L’Africa va male”, si dice, “e non riuscirà mai a decollare”. L'ho letto da poco in un libro che vorrebbe essere serio. E la terapia? “L’Occidente deve farsi carico di questo problema”.

A volte sembra di essere davanti a un malato, al quale neppure si chiede come sta. L’attenzione del medico è presa tutta e solo dalla malattia. Senza scambiare neppure un’occhiata fraterna e comprensiva con l’ammalato, il medico scrive una facile ricetta e, "avanti un altro".

Questa è ciò che noi chiamiamo malasanità e contro di essa giustamente ci lanciamo. Ebbene, io ho l’impressione che l’Africa la trattiamo proprio così.

La gente vive di speranza

In questi giorni sono in Burundi e mi rendo conto che - malgrado tutto il male che si vede e che non si vede, ma che esiste - la gente vive ancora di speranza. C’è in atto un processo sicuramente positivo.

Un processo che potrebbe anche andar male, ma che proprio per questo chiede di essere sostenuto nelle sue possibilità positive. Ma chi si sogna di parlarne e di parlarne bene? A forza di vivere in mezzo agli assassini, alle devastazioni e ai tradimenti, finiamo per non vedere più la nostra missione che è quella di scoprire il bene e di sostenerlo, per farlo crescere, perché si affermi e porti frutto.

È necessario ricordare che l’Africa, proprio perché ha sofferto e soffre ancora e ancora paga tutti i conti delle scelte sbagliate dei grandi di questa terra, ha non solo il diritto di essere ascoltata, ma anche la possibilità di indicare quelle strade che non devono essere più prese; ha il diritto e il dovere di offrire al mondo quei valori che essa ancora conosce e pratica.

La terapia del cuore

Ogni tanto salta fuori qualcuno che preconizza per l’Africa una terapia nuova, che è poi così vecchia: “E’ ora di finirla con «l’Africa agli africani». Ci vuole una nuova colonizzazione, pur senza gli eccessi di quella passata”. Ovvio. Ma è proprio questo ciò di cui l’Africa ha bisogno? No di certo.

L’Africa ha bisogno di persone amiche, che rispettino e stimino questa gente, che non si propongano come salvatori, ma che permettano veramente all’Africa di sedersi, senza complessi, nel consesso delle nazioni. L’Africa d’oggi ha bisogno di gente che si preoccupi sinceramente del suo futuro; che prima di formulare la diagnosi, la terapia e la prognosi, le voglia bene.

Non è di medici e di salvatori, neppure di grandi programmi di riforma che l’Africa ha bisogno, ma di amici e di amiche che sinceramente cerchino il suo futuro, che l’ascoltino e le parlino con il cuore in mano, certamente prima di mettere mano al portafoglio.



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