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A vent’anni di distanza, cosa ci dice ancora questa vicenda dolorosa e gloriosa? Il suo valore profetico non si è esaurito, anzi si è affermato e trova oggi una conferma nel clima che accompagna il pontificato di papa Francesco, che continua a dirci: “La vita si ottiene e matura nella misura che essa è donata per dare la vita agli altri” (EG 10).

È chiaro che la missione evangelizzatrice e la vita missionaria portano in sé il rischio della testimonianza suprema del martirio. Ciò non rende né triste né oscura la missione di annunciare il vangelo, anzi proprio il contrario: essa è resa gioiosa e entusiasmante per la “dolce e confortante gioia di evangelizzare” (EG 9).

Infatti, il nucleo del vangelo è l’annuncio che Dio si è talmente coinvolto nella nostra storia da farsi uomo ed è arrivato al punto di morire per testimoniare l’amore suo e di suo Padre per l’umanità. Il martirio è dunque una realtà iscritta nella missione della chiesa, la garanzia della sua autenticità.

Noi missionari dobbiamo essere “presi” dalla forza del vangelo in un rapporto intimo con Gesù. Questo non si improvvisa e i nostri tre martiri ce lo ricordano con la loro vita.

Scrive papa Francesco: “La migliore motivazione per decidersi a comunicare il vangelo è contemplarlo con amore e leggerlo con il cuore… Siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri” (EG 264). E questo fa sì che il sacrificio della vita dia senso alla vita stessa.

1. Vivere la missione fino in fondo

Ecco il primo messaggio che ci offrono i martiri del Buyengero: vivere fino in fondo la missione evangelizzatrice, fino - se necessario - al sacrificio di noi stessi. Questo è il messaggio che noi dobbiamo offrire a tutta la chiesa, perché per il nostro carisma missionario siamo incaricati di essere per la chiesa la memoria e la profezia della missione.

Se la chiesa non ritrova la gioia e l’energia missionarie, si ammalerà e diventerà sterile, vittima della mediocrità e della mondanità spirituale. L’apertura missionaria, invece, risveglia la chiesa perché l’azione missionaria continua a essere “la fonte delle maggiori gioie per la chiesa” (EG 15).

La chiesa che i nostri martiri hanno voluto costruire in Buyengero non si rinchiudeva nelle sue costruzioni, associazioni, opere e riti per godersi lo spettacolo della sua grandezza, ma collegava sempre l’altare alla vita, la fede alla carità, e si occupava dei più poveri e degli esclusi. Non voleva e non permetteva che si cadesse nella cultura dell’indifferenza e dello scarto, che papa Francesco continua a stigmatizzare.

2. La missione nella com-passione

Un secondo messaggio che ci viene dal sacrificio dei nostri martiri, che è collegato al primo, è “la chiesa in uscita” che il papa intende promuovere; una chiesa che vive in mezzo alla gente, mescolata agli uomini e alle donne di questo tempo; una chiesa solidale e compassionevole, che carica su di sé le preoccupazioni e le speranze della gente.

Ottorino, Aldo e Catina avevano un’attenzione particolare alle comunità ecclesiali di base, che consideravano una maniera provvidenziale per rendere la chiesa una realtà significativa e benefica per la crescita delle persone e per lo sviluppo sociale, oltre che per rinnovare la pastorale.

Tutti ricordano ancora le loro continue visite alle comunità sparse sulle colline e le innumerevoli riunioni organizzate per formare i leader. Catina stessa s’interessava dei problemi delle donne e dei bambini; cercava tutti i modi per essere presente accanto a loro, per promuoverle e, quando necessario, difenderle.

Potremmo dire che i nostri tre martiri hanno anticipato una parola di Francesco: “Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo” (EG 87).

Il sacrificio dei nostri tre è stato il sigillo e la conclusione di una scelta di vita che essi hanno fatto e la conseguenza della volontà di rimanere con il popolo di Buyengero e di non abbandonare la comunità nel tempo della prova, della guerra e dell’ingiustizia.

3. La missione nella giustizia

C’è anche un terzo messaggio che raccogliamo dal sacrificio dei martiri di Buyengero, e cioè che la “opzione per i poveri” e, più in generale, l’annuncio del vangelo della giustizia è una dimensione costitutiva della missione della chiesa.

La scelta di congiungere evangelizzazione e promozione umana fatta dai nostri martiri, oggi rischia di non essere più così evidente e ovvia come qualche tempo fa.

Con il pretesto di non voler cadere di nuovo negli errori della generazione precedente (formatasi nel ’68, immersa nel sociale fino quasi a dimenticare lo spirituale), la generazione attuale corre il rischio opposto, ma ugualmente pericoloso, di trascurare il rapporto della fede con la storia e con i temi “politici” della giustizia e della pace e di svolgere una missione staccata dalla realtà. Nello specifico, si rischia di “sviluppare una spiritualità di discepoli, ma non di missionari”, come afferma il teologo francese Thomas Gueydier.

I nostri martiri ci ricordano che non c’è evangelizzazione autentica e integrale se si ignorano le urgenze sociali, la formazione sociale delle comunità cristiane e l’integrazione sociale dei poveri. Ce lo ricorda anche papa Francesco: “Dal cuore del vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri” (EG 178).

In conclusione, dai nostri tre martiri del Buyengero ci viene l’invito a vivere in pienezza la vocazione missionaria. Dio ci chiede di vivere con fervore e gioia la stessa missione del Figlio suo, pronti a dare la vita, se questo è parte dei misteriosi programmi della sua volontà.



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