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Chiamati alla missione: Andare al mulino, per la comunione

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Viviamo tempi difficili. Di fronte al male che imperversa vien voglia di gridare: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi…, donaci la pace!”. La liturgia, che propone quest’accorata invocazione prima della comunione eucaristica, insiste con l’immagine dell’Agnello quando vengono mostrati ai fedeli il pane e il vino consacrati: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che porta sulle sue spalle i peccati tuoi e di tutti”.

Lo scandalo più serio, il più serio ostacolo alla fede è il male nella storia. “Non accetterò la creazione finché vedrò un innocente soffrire”. Lo dicono, con accenti diversi (e con esiti diversi per la loro fede), Dostojevskij nel suo romanzo “I fratelli Karamazov”, Camus nel suo “La peste”, Graham Greene nel suo “Il nocciolo della questione”. Ma questa è anche la tentazione della madre che vede strapparsi il bambino dalla morte, o dell’uomo di ogni tempo ingiustamente condannato, derubato, umiliato.

“Ecco l’Agnello di Dio”

Il cristiano guarda l’Ostia consacrata e chiede - lo chiede a se stesso o a Dio? -, ma che cosa è cambiato da allora? Forse che gli innocenti soffrono di meno dopo che l’Innocente è salito sul patibolo? E anche per i peccatori, non è spesso troppo ampia la sproporzione fra il peccato e il dolore? Cosa hanno fatto di così grave le famiglie che perdono i loro cari, i giovani e i bambini, negli attentati terroristici, nelle imprese della malavita, negli incidenti stradali, nelle lunghe e devastanti malattie? Dov’è la pace, che il Signore risorto ci ha donato?

La Comunione ci inchioda

Questo rimane: che quando ci moviamo, in distratta processione, per andare a ricevere l’Agnello, non abbiamo neanche coscienza di caricarci, con lui, di tutto il dolore e il peccato di cui gronda l’universo. Niente come la Comunione inchioda il cristiano a quell’immensa croce che è l’umanità. Non andiamo, fratelli e sorelle, a cercare facili consolazioni. Non andiamo a chiuderci in soliloqui dolci e improbabili. Perché lui ha sulle spalle l’immenso peso; e non è che possa sorriderci ...come in un brindisi.

Quale tristezza fanno le “prime comunioni” circondate di fiori bianchi, di bei vestiti, di musiche angeliche..., o quelle catechesi tutte incentrate sull’incontro con il “caro Gesù”! Prevale ancora una preparazione alla “prima comunione” che non è vera iniziazione alla Messa, che ci rende partecipi del mistero pasquale. Come se Gesù fosse una specie di amico buono, chiamato a colmare le solitudini psicologiche dei suoi e a compensarle con spirituali tenerezze. No, Gesù non paga il conto per noi. Il “banchetto della vita” si celebra il giorno prima della passione; e non l’abolisce, ma tutta la promette e la contiene.

Il mulino della solidarietà

Non voglio dire che non ci sia festa, o che non debba esserci gioia. Solo che non è la gioia inconsapevole e un po’ ottusa di chi si isola dal mondo e spera di trovare un’improbabile oasi di pace. La pace è quella di un amore che condivide, si fa corresponsabile, accetta le sfide e le condanne, e anche le bestemmie di chi soffre. Quando fai comunione con Gesù, prendi anche tu, sulle tue deboli spalle, quello che lui porta. Non per facili sospiri emotivi, ma donando la vita in uno sforzo quotidiano di solidarietà.

Comunione con Gesù, comunione con il mondo. Non è uno sport facilmente praticabile. Come ai tempi del martire Ignazio di Antiochia, anche oggi i cristiani trovano denti di leoni pronti a macinarli per fare di loro il pane di Cristo. Ma devono andare al mulino.



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