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La Messa, un precetto guastafeste?

Il tema del congresso eucaristico di Bari (a fine maggio) - “senza la domenica non possiamo vivere” -  ha concentrato l’attenzione sull’assemblea che celebra l’Eucaristia. La domenica come “giorno del Signore” è il simbolo e il distintivo dei cristiani. Nelle giovani comunità di missione la domenica è sentita come una festa di popolo: la comunità celebra il suo “essere con Gesù Cristo”. È ciò che noi dobbiamo ricuperare qui, nella nostra società secolarizzata e quasi scristianizzata.

Celebriamo il giorno di Dio

La chiesa, nel corso della sua storia, davanti alle eresie negatrici, ha dovuto riaffermare la presenza reale di Cristo sotto la forma del pane e del vino; ha poi sottolineato l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia; con il concilio Vaticano II, ha riportato all’attenzione dei fedeli l’aspetto comunitario della celebrazione, la Messa come azione del “popolo di Dio”.

Nel tempo delle vacanze, è bene riflettere sul nostro modo di celebrare la domenica, “giorno del Signore”. I primi cristiani si radunavano “il primo giorno dopo il sabato” per spezzare il pane, cioè per celebrare l’Eucaristia. Quel giorno fu chiamato “dies dominica - giorno del Signore”, anche perché nel primo giorno dopo il sabato avvenne la risurrezione di Cristo, la sua vittoria sulla morte. Ce lo ricorda ogni domenica il celebrante quando prega per la chiesa “qui convocata nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale”. Così celebrare l’Eucaristia e parteciparvi insieme alle sorelle e ai fratelli cristiani, è una professione di fede nella risurrezione, l’annunzio ai non cristiani della nostra speranza.

Ma chi ci pensa più?

La domenica domanda l’Eucaristia. Ci sono tanti cristiani che non possono avere l’Eucaristia ogni domenica; e questo ci dovrebbe preoccupare tutti. Ce ne sono tanti altri che non pensano più alla domenica, come giorno del Signore e dell’Eucaristia; e questo dovrebbe preoccuparci anche di più. Chi pensa ancora al Signore risorto quando dice “domenica”? Né più né meno di quanto pensa al dio Marte quando pronuncia il nome del “martedì” o di Giove quando parla del “giovedì”… E così la domenica, che letteralmente dice “giorno del Signore”, per molti, è ormai solo sinonimo di giorno di vacanza e di riposo. Anzi, in ossequio alla moda americana, è chiamato anche weekend - fine settimana, per andare in gita o allo stadio o semplicemente rilassarsi sottraendosi alla dittatura dell’orologio.

Per molti cristiani la domenica è il giorno in cui “bisogna andare a Messa”. Questa espressione dice già un certo fastidio per dover ubbidire a un precetto. Non si sente che è il giorno in cui il Signore chiama il suo popolo a nutrirsi di lui e a far festa attorno a lui, perché è risorto e ha inaugurato un mondo nuovo; perché ha introdotto nella storia un principio di risurrezione, di novità e di eternità. Ahimè, anche per noi preti, spesso la domenica è sentita come il nostro giorno di lavoro, anzi, di superlavoro, che ci stressa per le tante celebrazioni da fare.

Ci piacerebbe che...

Al venir meno della coscienza del giorno del Signore ha concorso anche il fenomeno della secolarizzazione e della scristianizzazione della nostra società. In concorrenza con le chiese, sono sorte altre “cattedrali”, dove la gente si ammassa proprio la domenica, come lo stadio o i centri commerciali “aperti anche di domenica”, spiagge, discoteche e feste in montagna che “convocano” e richiamano gente, soprattutto di domenica.

Bruce Marshall, nel suo celebre romanzo “Il mondo, la carne e Padre Smith”, racconta del suo protagonista che, disturbato dalla presenza di una sala da ballo vicino alla sua chiesa, chiede e ottiene dal Signore che la sala sia spostata su una montagna. Immediatamente però anche la sua chiesa si svuota. Pentitosi, prega che la sala torni dov’era prima. E subito anche la chiesa riprende a riempirsi.

Non chiediamo miracoli di questo genere. Né vogliamo demonizzare le forme di aggregazione e di svago. Ma ci piacerebbe vedere la gente che ritrova il senso della domenica e dei suoi veri contenuti: di condivisione e di fraternità, di impegno per gli altri, nel clima della gioia e della festa. Perché il solo precetto, come insegna san Paolo, potrebbe essere solo… un guastafeste.

Buone vacanze con il Signore!



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