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Bisogna parlare perché il popolo soffre

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Quando, nel 1993, apparve chiara la mancanza di volontà da parte del regime di applicare il modello di società elaborato dalla CNS, l’episcopato scrisse una nuova lettera: “Tenez bon dans la foi” (Resistete nella fede). I vescovi profetizzavano l’assassinio dello stato ad opera dei propri dirigenti, denunciando una struttura che si scatena contro la sua stessa popolazione.

Ciò avverrà effettivamente con la guerra del 1996 che si scatenò partendo dall’Est del paese. Una guerra organizzata fuori dai confini del paese. Gli appelli lanciati da mons. Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, non suscitarono interessi particolari nella comunità internazionale, come se non si volesse evitare questa guerra. Probabilmente, faceva parte di una strategia studiata “da qualche parte in stanze oscure” come affermava Munzihirwa nei suoi scritti. Trovatosi nella tormenta che aveva visto arrivare, mons. Munzihirwa fu assassinato il 28 ottobre 1998.

Il suo successore, mons. Kataliko prese anche lui posizione nei confronti del nuovo potere installatosi nell’Est del paese e che, per qualche anno, lo aveva diviso in due. Per questo, conobbe l’allontanamento dalla sua diocesi e il relegamento a domicilio coatto dal febbraio al settembre del 2000. Tra le sue ultime parole pubbliche mons. Kataliko dichiarava: “Noi vescovi dobbiamo parlare perché il popolo soffre”. Parole che ci richiamano un altro martire in un altro continente. Morì il 4 ottobre 2000, a Roma.

Sul piano nazionale, la Chiesa continua la sua missione profetica con il nuovo regime di Laurent Desiré Kabila autoproclamatosi presidente nel maggio 1997. Offrendo tutta la sua disponibilità alla creazione di una nuova società, l’episcopato non manca di evidenziare le lacune di chi governa, facendosi voce di chi non ha voce, diventando sempre più espressione delle esigenze della popolazione. Con l’assassinio di Kabila padre il 16 gennaio 2001, si entra nel regime di Kabila figlio che è investito presidente 10 giorni dopo. Transizione del potere da padre in figlio, corruzione e ingiustizie sono fin troppo evidenti. Il risultato sono la grande sofferenza e la povertà nella popolazione.

Nelle elezioni del 2006 e del 2011, vinte da Joseph Kabila, la Chiesa si impegna soprattutto sul versante della formazione della popolazione proprio per far crescere la consapevolezza popolare della partecipazione. Non mancheranno le denunce di manipolazione del voto con la complicità della comunità internazionale. Il mandato di Kabila doveva terminare il 16 dicembre 2016. Ma una serie di ritardi programmati e una chiara volontà di non lasciare il potere, proroga la sua presenza fino alla fine del dicembre 2018. La mediazione operata dall’episcopato tra potere e opposizione, l’implicazione popolare animata dal famoso Clc e le pressioni internazionali riescono ancora una volta a sbloccare la situazione, convincendo Kabila e i suoi a non modificare la costituzione per lucrare un altro mandato e andare così alle elezioni.

Conosciamo la frode elettorale di queste ultime elezioni denunciata dalla chiesa cattolica. Mons. Fridolin Ambongo Besungu, nuovo arcivescovo di Kinshasa, lo ha ancora ricordato nel suo messaggio di Pasqua ai cristiani della sua diocesi: “Le speranze di tutto un popolo sono state infrante e sacrificate sull’altare di interessi e calcoli egoisti di alcune persone, creando frustrazione e scoraggiamento”. Ma il popolo è cresciuto nella consapevolezza della sua forza. Chi è al potere dovrebbe tener conto di questa maturazione popolare prima che i continui abusi e imbrogli facciano scoppiare la rivolta.



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