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Bangladesh: La voglia di dire "grazie!"

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Ripensando al lavoro tra gli ultimi

Ho concluso l'esperienza medica nei villaggi attorno alla missione di Chuknagar, una zona a metà strada tra Jessore e Satkhira, e ho cominciato il mio nuovo lavoro all'ospedale san Vincenzo di Dinajpur, al nord del Bangladesh. Questi due anni passati nel villaggio mi hanno fatto crescere. Ho creduto che la strada  che mi si prospettava davanti, per quanto nuvolosa, avesse una sua mèta. E qualcosa di nuovo l'ho indubbiamente intravisto.

Con i prediletti di Dio

Tra i tanti appunti fatti preparando questa lettera, ho scritto: "In questo periodo le mie lettere sono state più rare. Rare perché il villaggio ti isola dal mondo in una sorta di clausura pur aprendoti al mondo di Dio, cioè al mondo dei più bisognosi, dei più ignoranti, dei più ottusi, dei mai contenti, di coloro che hanno sempre la mano tesa; di coloro che non possono e non sanno dirti grazie; ma, proprio per questo, sembrano essere stati scelti da Dio per essere i suoi figli prediletti.

È questa la sensazione nuova che mi sta nascendo dentro dopo questo periodo passato sulle strade più o meno fangose di questo stranamente nuovo Bangladesh ... ". Questa può essere una causa delle mie poche lettere.

Il silenzio è stato una sorta di malattia acquisita nel villaggio. In un mondo come questo, la vita quotidiana chiude la bocca a chiunque. Si ha paura di rovinare il villaggio, di violentarlo, di usarlo impropriamente per i propri fini. Ma in questo momento mi è rinata la voglia di dirvi "Grazie, amici!", spingendomi così a riprendere in mano la penna e a tentare di esprimere, in qualche modo, quanto si agita dentro dirne.

Un volo sul precipizio

Rispondendo a chi mi interpellava, dopo il mio ritorno in Bangladesh, avevo scritto citando una frase del poeta libanese Kahlil Gibran: "Esistere oggi, è seguire la Bellezza, anche quando vi guiderà sull'orlo del precipizio. E benché essa abbia le ali e voi no, e varcherà il precipizio, seguitela, perché dove non esiste Bellezza, nulla esiste". In questo brano poetico ho sentito riecheggiare l'invito evangelico: "Va, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri; poi vieni e seguimi".

Oggi posso aggiungere che proprio seguendo la Bellezza, cioè Dio, nel "precipizio", ci si accorge di avere ali che si pensava di non avere. È proprio in questo genere di impossibili voli che l'eternità entra nel nostro tempo. È stata questo la mia vita di villaggio: un volo sul precipizio.

Ho imparato che non ha più senso parlare di morte, di dolore, di gioia, di eternità, di Dio stesso. Dio non parla mai di se stesso, ma continua a parlare sempre dell’Altro. "Se non ami il tuo prossimo che vedi, come potrai dire di amare Dio che non vedi?". L’Altro è il precipizio da varcare, perché è nell'Altro che la Bellezza si è voluta nascondere. E in questa relazione con l'Altro, occorre diventare semplici e senza parole, come il riso che cresce o come la pioggia che cade ...

Nient'altro che essere

Si deve semplicemente essere. Essere senza discorsi superflui, senza fare ricorso o chiedere aiuto al verbo "avere". Essere nell’assoluto dell’indigenza, del non potere, del non sapere. Essere leggeri quanto una  gracile spiga di grano o di riso, o come lo stelo di un tulipano, una pioggia sottile, un'impalpabile brezza del mattino; essere immensi quanto il cielo.

Essere: è avventurarsi nello spazio in espansione di questo verbo, il più esigente e il più faticoso di tutti i verbi, insieme con il verbo, "amare". Ciò implica che bisogna mollare gli ormeggi e le sicurezze, a cominciare dalle passioni che alienano, dalle paure che intrappolano e umiliano, dalla collera e dallo spirito di vendetta e rivincita, che logorano invano le forze di cui si dispone; dal disprezzo e dall'indifferenza che sono solo travestimenti della pigrizia; e infine dall'odio che corrompe il cuore e la mente, li sporca e li fossilizza.

Essere e nient'altro; ma senza misura né concessioni.



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